
Pasolini e il suo doppio – Pasolini Déluge #2
Marco Belpoliti è uno dei più importanti studiosi di letteratura e cultura italiana, oltre che scrittore in proprio. Attivissimo critico e recensore, ha curato complesse operazioni editoriali come i Meridiani dedicati a Primo Levi e a Gianni Celati; dai primi anni duemila, ha iniziato a occuparsi anche dei complessi rapporti che sussistono tra la politica, la storia e l’iconografia, scrivendo saggi come Il corpo del capo, su Berlusconi, o Moro, Warhol e le Brigate Rosse. Un suo confronto con la figura e l’opera di Pier Paolo Pasolini era inevitabile, e il risultato finale unisce entrambe le correnti della sua produzione: Pasolini e il suo doppio, uscito di recente per Guanda raccogliendo vecchi articoli su P.P.P. e scritti inediti, consegna sia un’immersione a 360 gradi nell’opus e nella biografia pasoliniana, sia un’attentissima indagine dell’iconografia che, con un’attentissima e tattica gestione della sua immagine pubblica, Pasolini ha voluto consegnare ai contemporanei e ai posteri.

Pasolini e il suo doppio passa in rassegna l’iconografia pasoliniana analizzando e inserendo nel corpo del testo gli scatti che hanno dedicato alla figura e al corpo stesso di Pasolini fotografi d’eccellenza molto diversi tra loro: da Paolo Di Paolo a Mario Dondero, da Ugo Mulas al giovane Dino Pedriali, scomparso lo scorso anno, che realizzò l’ultimo e il più controverso dei servizi fotografici su Pasolini, che da lui si fece ritrarre per la prima e ultima volta completamente nudo, nella sua casa-rifugio a Chia, forse pensando di inserire alcuni di questi scatti nell’appendice a Petrolio, il leggendario romanzo incompiuto apparso postumo nel 1992. Il doppio servizio fotografico realizzato da Pedriali su e per Pasolini è giudicato da Belpoliti straordinario: “Pasolini è stato ritratto tante volte, e da fotografi bravi: Mario Dondero, Ugo Mulas, Paolo Di Paolo e altri ancora”, ma nel servizio di Pedriali sorprende e spiazza “l’osmosi di sguardi che si è creata tra i due: il soggetto e l’oggetto, il fotografo e lo scrittore; qualcosa che non si spiega se non con una sorta di mimesi del fotografo rispetto allo scrittore, con la sua giovane età, ma anche con la devozione emotiva, sensuale, erotica e intellettuale di Dino Pedriali verso Pier Paolo Pasolini”.
Doppio corpo, il capitolo di Pasolini e il suo doppio incentrato sul rapporto tra P.P.P. e Pedriali, è sicuramente uno dei passaggi più interessanti del saggio di Belpoliti, ma non gli mancano altre riflessioni significative inserite qua e là nei suoi capitoli. Significativa è, innanzitutto, l’attenzione che Belpoliti riserva al rapporto che si creò tra Pasolini, reduce dal successo dei romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta, e Paolo Di Paolo, già allora fotografo affermato, in occasione della realizzazione di un reportage d’autore per il settimanale Successo, La lunga strada di sabbia, riedito poi da Contrasto (ma con fotografie di Philippe Séclier). Una delle più severe e ricorrenti affermazioni Belpoliti riguarda peraltro la sostanziale rimozione, dalla fiumana di pubblicazioni, saggi critici e analisi più o meno d’autore sulla figura e sull’opera inter-linguistica di Pasolini, della sua dichiarata omosessualità: anche il dibattito retroscenista, mai sopitosi, relativo alle modalità del suo omicidio e ad ipotetici mandanti e complici di Pelosi, agli occhi di Belpoliti è indizio di una voluta sottovalutazione dei rischi quotidianamente e consapevolmente corsi da P.P.P. nella sua mai negata fame di esperienze di vita e di avventure sessuali.

Tra i maggiori punti di forza di Pasolini e il suo doppio va indubbiamente annoverata la qualità della scrittura, che a tratti arriva a toni da ricostruzione biografico-romanzesca, soprattutto quando racconta le complesse dinamiche, ogni volta diverse, che si innestavano tra Pasolini e il fotografo che lui chiamava a fare un reportage su di lui. Si prenda ad esempio questo passaggio, relativo al reportage che, qualche tempo dopo La lunga strada di sabbia, Pasolini chiese a Di Paolo di fare su sé stesso, nel celebre Monte dei Cocci di Roma, in zona Testaccio. “Quello che colpisce in questi scatti non è la salita alla cima in giacca e cravatta col suo trench di colore chiaro sottobraccio. Sono tre fotografie in cui accanto a lui compare un ragazzo. Di Paolo l’ha visto entrare in scena in silenzio, senza dire nulla, senza parlare o rivolgersi al poeta. Evidentemente si conoscono e il fotografo lo include nello scatto… In uno degli scatti i due, il poeta e il ragazzo, sono in cima al monte e mentre Pasolini s’è seduto presso l’angolo di una costruzione il ragazzo sembra allontanarsi. Ora Pasolini lo guarda, ma senza nessun pathos, quasi con indifferenza, leggermente piegato in avanti”. Se la capacità di ecfrasi da sempre è stata uno dei più sicuri metri di giudizio della capacità di scrittura e di retorica, Pasolini e il suo doppio riesce nell’impresa mai facile di dare vita e narrazione ad immagini statiche.

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