
Il Gramsci di Pasolini – Pasolini Déluge #6
Ogni anno, la casa editrice Marsilio e il Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia, il paesino friulano dove aveva origine la famiglia dell’intellettuale, che poi l’avrebbe eternata in molti versi delle sue liriche degli anni quaranta e cinquanta, pubblicano gli atti dei convegni internazionali che regolarmente hanno luogo nella sede della fondazione. Questa tradizione rappresenta un appuntamento annuale per gli studiosi pasoliniani, e dal 2011 di Pasolini e la televisione, curato dalla compianta Angela Felice, annualmente è apparsa per Marsilio una nuova raccolta di contributi eterogenei su uno specifico aspetto della poetica, dell’immaginario o dell’ideologia pasoliniana: da Pasolini e l’interrogazione del sacro a Il giornalismo di Pier Paolo Pasolini, da Pasolini e il teatro fino a Pasolini e Sciascia. Ultimi eretici, curato non per nulla da Filippo La Porta.
Il Gramsci di Pasolini. Lingua, letteratura e ideologia, è il volume della serie che cade nell’anno del centenario dalla nascita di Pasolini. Curato da Paolo Desogus, professore di letteratura italiana alla Sorbona di Parigi che già aveva dato alle stampe interessanti contributi su P.P.P. e anche su Ernesto de Martino, questo volume approfondisce il rapporto tra Pasolini e uno dei suoi più espliciti maestri di pensiero partendo proprio dalla considerazione secondo cui l’influenza di Gramsci sull’intellettuale, poeta e regista non era stata ancora sviscerata a fondo. Citare Antonio Gramsci tra le massime fonti del pensiero pasoliniano è gioco facile, a maggior ragione se la più celebre raccolta di poesie di Pasolini si intitola Le ceneri di Gramsci: ma, approfondendo anche l’aspetto funerario del titolo della raccolta lirica, Desogus e gli altri cercano di cogliere i momenti in cui, nell’opus pasoliniano, accanto all’omaggio ci sono anche accenni di rigetto, rispetto alle tesi del grande pensatore sardo confinato e di fatto ucciso dal fascismo. Al fianco di Desogus peraltro non mancano altri nomi noti in ambito accademico, come Stefano Gensini, filosofo del linguaggio, Silvia De Laude, co-curatrice assieme a Siti dei Meridiani di Pasolini per Mondadori, Angelo D’Orsi e Marco Gatto, ma nell’indice si affacciano anche nomi di poeti come Gianni D’Elia o Andrea Gibellini.

“Gramsci pone questo problema all’autore: distrugge, fa quella che oggi si definisce una critica globale della letteratura del suo tempo, e parla di una poetica che lui chiama di letteratura nazional popolare, cioè una letteratura capace di raggiungere gli strati più vivi della popolazione, gli operai in lotta, i contadini, etc.”, rilevava Pasolini nel 1968, “una letteratura chiara, che abbia la stessa energia di un’azione, e che sia comprensibile, arrivando fino al profondo di una nazione. Con questa poetica io ho scritto i miei primi romanzi, e ho girato anche i miei primi film, fino al Vangelo secondo Matteo”. Proprio sull’influsso gramsciano rispetto al pasoliniano Vangelo del 1964 si consumano alcuni dei passaggi più interessanti del volume curato da Desogus, tanto più che nel corso dei decenni generalmente si era riconosciuto, nel Cristo interpretato da Enrique Irazoqui, una cinematograficizzazione di certe tesi di Tolstoj sulla figura evangelica.
Il collettaneo Gramsci di Pasolini curato da Desogus forse non raggiunge i picchi ermeneutici che il volume Pasolini, Foucault e il “politico” a cura di Raoul Kirchmayr aveva conseguito nel 2016, probabilmente il vero capolavoro della collana supervisionata dal Centro Studi di Casarsa, ma, nel giusto equilibrio tra la pars destruens e la pars costruens, compie un’importante problematizzazione rispetto alla vulgata comune che vedeva in Gramsci il maestro assoluto di P.P.P., dimenticando che già nelle Ceneri Pasolini di fronte al cippo funebre del pensatore sardo cantava “lo scandalo del contraddirmi/dell’essere/con te e contro te”. Accanto ai vistosi debiti rivendicati da Pasolini stesso sussistono anche grandi elementi di distanza, tra Gramsci e P.P.P.: se agli occhi dell’intellettuale bolognese-friulano Grasmci fu uno dei “grandi intellettuali rivoluzionari” della prima metà del Novecento che voleva “distruggere la borghesia”, “Pasolini prende una strada diversa poiché avverte sé stesso come uno di quegli scandalosi intellettuali borghesi, scandalosi perché scissi, ‘grandi conservatori, rivoluzionari solo stilisticamente’, che contraddicono la borghesia ma senza avere il ‘rigore’ gramsciano”, come rileva, citando affermazioni dello stesso Pasolini, la studiosa Michela Mastrodonato nel capitolo da lei redatto, Gramsci cultore di Dante e la svolta pasoliniana delle “Ceneri”.

Un altro dei momenti più originali de Il Gramsci di Pasolini figura all’interno del saggio di Pasquale Voza, quando si ricostruisce una sorta di genealogia interna alla cultura italiana che parte da Leopardi, se non da Dante stesso, passa per Gramsci, e arriva fino a Pasolini stesso: un trio di poeti e/o intellettuali che, trovando un folle compromesso tra un profondo pessimismo e un’irriducibile speranza, non hanno mai abdicato all’obiettivo di parlare al popolo italiano nel suo complesso. “L’errore dell’intellettuale consiste nel credere che si possa sapere senza comprendere e specialmente senza sentire ed essere appassionato”, rilevava Gramsci nei suoi Quaderni del carcere, “cioè che l’intellettuale possa essere tale se distinto e staccato dal popolo-nazione, senza sentire le passioni elementari del popolo comprendendole e quindi spiegandole e giustificandole nella determinata situazione storica”. È grazie a riflessioni come questa che, restando al fianco di Gramsci, Pasolini si sentiva di dire, contro ogni idea di iper-razionalismo o di realismo socialista, che “il comunismo non oscurerà la bellezza e la grazia”.

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Casarsa con 8000 abitanti non è un “paesino”