
Svegliami a mezzanotte – Autofiction d’archivio | Torino 40
Francesco Patierno, classe 1964, è una delle voci più interessanti del cinema italiano, continuamente impegnato in una ricerca che, muovendosi attorno al documentarismo e al cosiddetto “cinema del reale”, lo ha portato negli anni a dirigere opere molto diverse tra loro come Naples ’44, narrato da Benedict Cumberbatch nella versione internazionale, Diva!, sulla vita di Valentina Cortese, e il recente La cura, rielaborazione da Camus ambientata nella Napoli del Coronavirus. Svegliami a mezzanotte, un documentario prodotto dall’Istituto Luce assieme a RAI Cinema e presentato adesso nella sezione Concorso Documentari Italiani del Festival del Cinema di Torino, non è da meno: prendendo spunto dall’omonimo libro di Fuani Marino, edito dall’Einaudi, Svegliami a mezzanotte, Patierno ha costruito quello che in apparenza è un chiasmo, un documentario drammatico e introspettivo costruito interamente con materiali d’archivio.
“Mi sono uccisa il 26 luglio 2012. Avevo da poco compiuto 32 anni e da nemmeno quattro mesi partorito la mia prima e unica figlia, Greta”. La storia di Fuani Marino è la storia di un tentativo di suicidio non riuscito, e poi ripercorso attraverso la scrittura, che mai come stavolta esplora una forma radicale di autofiction. Il montaggio ripercorre spesso e volentieri i diari personali di Fuani degli anni del suo malessere psicologico, dove si alternano poesia, schizzi, disegni e appunti personali in uno status di crescente solipsismo psicopatologico – “Fuani è sacra”, “Fuani is the future”… Il primo evento scatenante della depressione della Marino sembra essere stata la morte prematura del padre, il tentativo di suicidio arriva a ridosso del parto di sua figlia. Particolarmente impressionante, con qualche involontario eco artaudiano, il racconto del risveglio in ospedale di Fuani dopo il tentativo di suicidio, compiuto gettandosi dal quarto piano di una palazzina: “avevo gli occhi chiusi, credo, perché non vedevo, ma sentivo. Gli infermieri mi chiedevano se riuscivo a sentirli, come mi chiamavo, se ero caduta, se mi ero buttata. Sentii una voce femminile dire che ero bella. Sentivo molte mani addosso, ma il mio corpo era diventato qualcosa di estraneo, altro da me”.

Per il tipo di storia che racconta, Svegliami a mezzanotte ha una particolarità: come regolarmente capita per i documentari prodotti, co-prodotti o distribuiti dall’Istituto Luce, il montaggio è continuamente attraversato da materiali di repertorio, anzi, nel caso del documentario di Patierno, è interamente composto da essi. Svegliami a mezzanotte infatti alterna materiali personali dell’archivio di Fuani Marino e famiglia a numerosi spezzoni di proprietà del Luce, inseriti senza soluzione di continuità nella narrazione dei primi tre decenni di vita della protagonista. Alla narrazione in voice over delle parole della Marino lette da Eva Padoan fa da continuo controcanto l’inserzione di materiali d’archivio di diverso tipo e di diverse epoche, inclusi spezzoni di una sorta di conferenza televisiva di un non meglio specificato medico-scienziato che, facendo riferimento ai dettami della religione cristiana, attacca in termini biologici il concetto stesso di suicidio. Se già il romanzo Svegliami a mezzanotte era inteso dalla Marino come un “gesto di rivendicazione per chi soffre di disturbi psichici”, il documentario che Francesco Patierno ne ha tratto è una rispettosa trasposizione di un dramma privatissimo, che non cede mai all’errore di tentare di definire un’eziologia, o peggio ancora una psicoanalisi, di quanto accaduto alla sua protagonista. Non ha la forza dirompente di un Naples ’44, ma preserva un’innegabile forza emotiva dalle non scontate implicazioni politiche.
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