
Adone non ama Venere – Educazione sentimentale a teatro
«Sospendere il giudizio». É il monito con cui si apre lo spettacolo Venere/Adone, andato in scena al Teatro Fontana di Milano dal 17 al 20 novembre 2022. In una spoglia scenografia, un riquadro di luci delimita lo spazio entro cui si svolgerà l’azione e posta al suo interno, su di un cavalletto, una riproduzione del dipinto di Tiziano Venere e Adone, ispiratore (si ritiene) per Shakespeare nella stesura del poemetto che Danilo Giuva porta in scena.
Il racconto del mito segna l’avvio. Esso procede per citazioni tratte dall’opera shakespeariana, citazioni che l’attore, unico a comparire in scena, declama e commenta, stando saltuariamente seduto sulla sua cattedra. Alla stregua di un bravo insegnante, tenta di fare da educando del proprio pubblico, ammaestrarlo su di una materia spinosa e arzigogolata.
Giovane e bellissimo, Adone compie ogni sforzo per fuggire dall’abbraccio di Venere, per correre verso una passione più forte, quella della caccia. Le spasmodiche dichiarazioni e i tentativi di seduzione della dea non sortiscono alcun effetto: l’amore che lei insegue è impossibile, non è ricambiato, per quanto ella si illuda.

Sulle note di Fiamme negli occhi (il brano del duo musicale Coma_Cose), l’illusione di Venere esplode, trova forma concreta nella musica e nella danza dell’attore in scena. Brano contemporaneo in un poemetto shakespeariano, un connubio atto a significare il “senza tempo e senza spazio” di un sentimento, ma anche occasione perché il corpo dell’attore si liberi, marcando così (forse) un passaggio: dalla materia del poemetto alla persona dell’autore, il cui racconto diventerà oggetto del secondo momento dello spettacolo.
L’amore è confusione che parla la lingua dell’infelicità: Venere, la divinità dell’amore, è vinta dal rifiuto del suo amato, il quale sceglie di inseguire il suo di amore, ossia la caccia, non importa se questa coincida con la morte. Adone parte, va, insegue il cinghiale le cui bianche zanne saranno la ragione della sua fine. Torna una volta di più quell’atavico connubio, i due inscindibili opposti: ἔρως e θάνατος, amore e morte. Ma il connubio si moltiplica in una serie di opposti: desiderio e avversione, rifiuto e assenso, passione e indifferenza, tenerezza e crudeltà.
Venere ha tentato di vincere la resistenza di Adone con ogni mezzo, dalla seduzione alla più o meno chiara ragione, adducendo varie argomentazioni; tra queste, che egli non possa sottrarsi alla natura di giovane uomo. Così facendo manifesta una volta di più la sua sconfitta, proprio nell’incapacità di comprendere che Adone, infine, segue la natura, la propria.
L’esperienza di Venere e Adone, il poemetto di Shakespeare, questi sono solo un pretesto perché Danilo Giuva sposti il baricentro dal racconto dalla passione amorosa della dea alla sua. Dismessi i panni del narratore, gettata via la posa didascalica, il maestro scende dalla cattedra e diviene quell’uomo qualunque vinto dall’amore. Lui non vuole rinunciare all’amore verso cui la sua natura lo guida, al suo desiderio.

Egli ha amato, amando il fidanzato della sua migliore amica. Quell’amore che ha in sé una traccia di proibito, quell’amore impossibile che induce chi lo vive a cercare prove (come ha fatto Venere) che sia corrisposto. La prova può esser ingannevole, generata da uno sguardo che vuol veder quel che non c’è. Ma è la prova di cui l’amore dell’attore si nutre.
Nella penombra della sala si consuma tutto il dolore del rifiuto cui va incontro Danilo Giuva. L’attore si è immerso nel mito per parlare di identità di genere, scoperta del corpo, desiderio e, alla fine, ha recitato sé stesso. Il suo dramma è autobiografico (come tale è presentato). Il suo dolore ha quell’universalità che mette alla prova il sentimento d’amore. Infondo, assolutamente irrilevante è la sua direzione, l’oggetto del desiderio. «Da che tu [Adone; è Venere che parla] sei morto, ecco, io predìco che l’affanno, d’ora innanzi, andrà congiunto con l’amore […]. E l’amore sarà volubile, falso e pieno di frode, sboccerà e sarà maledetto nell’attimo d’un sospiro […]; insegnerà alla decrepita vecchiaia a muovere passi di danza […], renderà vecchi i giovani, e i vecchi farà tornar bambini. […] color che meglio amano del loro amore non dovran godere».
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Venere/Adone
drammaturgia di Danilo Giuva e Annalisa Calice
regia e spazio Danilo Giuva
luci Cristian Allegrini
suono Francesco Curci
assistente alla regia Luca Mastrolitti
progetto grafico Silvia Rossini
tecnico di palco Massimiliano Tane
produzione Compagni Licia Lanera in coproduzione con Teatri di Bari
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