
Fare il verso al Nulla – Su Nota Bene di Piergiorgio Giacchè
Giacchè. Nel rapporto che Carmelo Bene ha sempre avuto contro la critica, alcuni nomi spiccano come vistose eccezioni. Da un lato, l’idea da lui sempre propagandata, e rubata a Oscar Wilde, di una necessaria coincidenza tra arte e critica automaticamente escludeva dal novero del necessario i sedicenti critici di professione. Ma a fare le spese del suo furor teatrale furono in realtà soprattutto i critici da inserto culturale, quelli che – come con ghiotto sarcasmo C.B. parodiò in una sua leggendaria apparizione al Maurizio Costanzo Show – si pregiavano di scrivere anzi di aver scritto “sulle colonne dell’Avanti”, e ghignavano gelosamente per il minuscolo potere che questa posizione conferiva loro.
Pochi, ma fedelissimi, furono invece i critici e in generale gli studiosi con cui C.B. mantenne un rapporto di altissimo scambio artistico e culturale. Anche se adesso è disseminata tra svariati archivi e depositi in vari luoghi d’Italia, la biblioteca di Carmelo Bene era sterminata, e attraversava molteplici campi della cultura: anche ai suoi interlocutori di fiducia era richiesta una simile spazialità dello sguardo mentale per poter seguire C.B. nei suoi voli pindarici – e nell’Italia della fin du siècle erano indubitabilmente pochi i critici capaci di accompagnare l’attore lungo il suo percorso.

Tra i fedelissimi di Carmelo Bene, spicca innanzitutto un franco-italiano, Jean-Paul Manganaro, italianista, traduttore di Artaud in italiano – dedicò a C.B. la sua traduzione adelphiana di Van Gogh o il suicidato della società. Fu Manganaro a permettere a C.B. di incontrare il meglio dell’intellighenzia francese negli anni Ottanta – incluso il filosofo Deleuze – e soprattutto fu lui a tradurre le opere letterarie di Carmelo Bene in francese, raccolte postume in un’opera omnia anche oltralpe. Ma altrettanto presenti al fianco di Carmelo Bene furono Goffredo Fofi, Giancarlo Dotto, Maurizio Grande, Pierre Klossowski, Umberto Artioli ed Enrico Ghezzi, oltre ad Elisabetta Sgarbi che promosse la pubblicazione del pregiato volume Opere. Con l’autografia d’un ritratto presso Bompiani.
Arrivato forse più tardi di altri a conoscere personalmente C.B., ma capace di suscitare la sua fiducia fino al punto di essere indicato nel testamento dell’attore come direttore designato della fondazione “L’Immemoriale” (che ebbe vita breve a causa dei contrasti tra le diverse “vedove” di Bene), nel novero degli amici spicca per competenze culturali Piergiorgio Giacchè. Classe 1946, a lungo collaboratore di Fofi su diverse riviste, Giacchè è un antropologo che, in contrasto con la visione semplicistica dell’antropologia come incontro con una cultura “altra”, ha scelto di concentrarsi soprattutto sugli autori più originali del teatro italiano.

Il titolo della cattedra che a lungo ha mantenuto presso l’Università degli Studi di Perugia, Antropologia del teatro e dello spettacolo, la dice lunga sulla direzione dei suoi studi. È a Giacchè che si deve uno dei più importanti e consultati testi di riferimento sull’esperienza teatrale di C.B., quel Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale pubblicato originariamente da Bompiani nel 1997. Libro “audace”, secondo il diretto interessato, che mantenne il rapporto con Giacchè fino alla sua morte, il 16 marzo 2002. In occasione del ventennale della morte di Bene, Giacchè ha raccolto una ventina di articoli scritti su C.B. in questi due decenni in occasione di convegni, festival, trasmissioni radiofoniche e pubblicazioni commemorative, e ha pubblicato il suo Nota Bene con l’editore pugliese Kurumuny.
“Come può morire un attore del teatro vivente? Come si può accettare e poi accertare che non ci sia più qualcuno che ‘non c’è mai stato’?”. Sin dalle prime pagine Nota Bene si colloca nel segno dello shock per la perdita e per l’assenza dell’amico, e tenta l’impresa impossibile e se vogliamo derridiana di “commemorare l’immemoriale”, l’artista dell’oblio e della depense. La teologia negativa, teorizzata dalla patristica e dalla scolastica ed evocata da C.B. su Canale 5 sotto gli occhi divertiti di Maurizio Costanzo, prevedeva di parlare di Dio dicendo ciò che Dio non è; qui si tratta invece di parlare con l’assente, un assente che si andava sottraendo già in vita: “levare di scena” invece che “mettere in scena” era una delle sue precisazioni più ricorrenti, tanto da meritarsi l’appellativo di “Principe dell’assenza“, come si intitolava un vecchio libro di Dotto sul suo teatro pubblicato nel 1981.

Veniamo a Nota Bene però. Un momento di altissimo livello teorico si consuma nel momento in cui, en passant, Giacchè si permette di trapiantare uno dei comandamenti fondamentali dell’antropologia allo studio e all’analisi del teatro. “L’osservazione partecipante”, si legge infatti al termine dell’introduzione Vent’anni dopo, “è il primo comandamento dell’antropologia: è la condizione e la contraddizione di chi fa esperienza sul campo, e dunque anche dello spettatore a teatro. Obbedire a questo comandamento è il minimo che si richiede a un antropologo, e il massimo che si poteva fare nell’incontro con Bene”. A questa premessa Giacchè si mantiene fedele per tutta la durata del testo, organizzato con una curiosa struttura inversa – il primo saggio della raccolta è il più recente, poi la raccolta si conclude con il necrologio scritto dall’antropologo a un mese dalla morte del teatrante e riporta, in appendice, l’ultimo testo scritto assieme, per il programma di sala di quell’Invulnerabilità di Achille che rimase l’ultimo spettacolo di C.B.
Un passaggio obbligato di questa raccolta, per così dire, è un breve testo di confronto tra Carmelo Bene ed Eugenio Barba, altro grande teatrante, allievo di Grotowski, corregionale e coetaneo di C.B., ma originario di Brindisi, non del leccese, quindi separato da Bene da una distanza abissale. Con Barba Giacchè aveva a lungo collaborato, prima di passare al fianco di Bene: per dirla con le sue parole, “vent’anni di studi da antropologo del teatro li ho passati a inseguire due figli del Salento: dieci per capire Eugenio Barba e dieci per indovinare Carmelo Bene”. Tra Barba e Bene si possono tracciare accostamenti e linee di divergenza, ma “la prima e l’ultima differenza o divisione in teatro è sempre quella: Eugenio Barba è regista e Carmelo Bene è attore, ed entrambi lo sono in modo assoluto per non dire dogmatico”.

Se in Nota Bene trova spazio anche la voce “Carmelo Bene” scritta da Giacchè per la Treccani con tono e precisione accademica, i veri tesori di questa raccolta emergono sul fondo, negli ultimi saggi, quelli scritti nel primo decennio dopo la morte dell’amico. In Voler Bene al cinema, ad esempio, un breve articolo scritto per il Bellaria Film Festival, Giacchè indica il termine secondo lui più adatto a designare la sterminata quantità di riprese, teatro in video, film poi ripudiati, materiale fotografico e registrazioni sonore che C.B. ha lasciato in eredità al suo pubblico. E lo fa, oltre che con perizia da antropologo, con un tono suademente inappellabile: “Con Sparagmi, voce passata dal dizionario di greco antico al glossario dell’antropologia, si indicano i frammenti di un rito andato perduto ovvero le lacerazioni di una performance non ricomponibile”.
Del resto, già nelle prime pagine della raccolta Giacchè aveva premesso che “persino le edizioni definitive e consacrate di film e video e dischi e libri e di ogni altro genere di ‘prodotti’, erano considerati e usati da Carmelo – in vita e in atto – come strumenti di lavoro per progetti di là da proseguire, e da sfinire”. Come a dire: non illudiamoci di conoscere Bene grazie ai video caricati su YouTube o ai pure gustosi meme in tema. A differenza della stragrande maggioranza dell’arte occidentale, l’indefinibile percorso artistico tracciato da C.B. dal finire degli anni cinquanta fino al 2002 e oltre, nelle pubblicazioni post mortem, non ha nulla di testamentario: è un’arte di una vitalità sfrenata fin oltre l’Assenza.

C’è da segnalare peraltro che la casa editrice Kurumuny, in collaborazione con il noto Centro Studi Phoné dedicato a C.B., in occasione di questo ventennale ha inaugurato una vera e propria collana sull’attore salentino, chiamata “Beniana”. Accanto a Nota Bene di Giacchè, vi figurano al momento altri due libri: Dentro ‘l mal dei fiori, uno studio condotto da Alessio Paiano su un leggendario e complessissimo componimento poetico di C.B.; e Carmelo Bene e altre eresie, con cui il noto studioso Franco Ungaro si propone di evidenziare le “connessioni sorprendenti e inedite” che Carmelo Bene ha avuto, biograficamente e concettualmente, con altre “figure eretiche del Sud”, come Franco Cassano, Vittorio Bodini, e, sviluppando un’intuizione già sfiorata dallo stesso Giacchè in uno dei suoi saggi, il grande antropologo Ernesto de Martino.
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