
Triple Bill al Carcano di Milano: il Teatro è accessibile?
I teatri sono luoghi accessibili? Verrebbe da rispondere di sì, senza alcun dubbio. Ma che cosa vuol dire accessibilità? In fondo al foglio che sto scrivendo, la mia versione di Word mi indica che il documento ha superato il controllo di accessibilità per gli utenti con esigenze particolari. I teatri sono luoghi accessibili per tutti, anche per chi ha esigenze particolari?
Il Teatro Carcano di Milano giovedì 28 aprile lo è diventato. Una rampa di accesso posizionata sopra a una parte della gradinata del foyer – perché il teatro deve essere accessibile per tutti allo stesso modo, non per alcuni dall’ingresso principale e per altri dalle porte di servizio – e simili rampe disposte dietro le quinte, perché le pari opportunità all’accesso valgono sia per gli spettatori sia per i performer. Sorrisi dietro le mascherine trasparenti usate per mostrare il labiale.
Il trittico Triple Bill viene introdotto da Anna Consolati, direttrice generale di Oriente Occidente, tra gli organizzatori di PRESENTI ACCESSIBILI, evento italiano parte della rete EBA (Europe Beyond Access), progetto europeo sull’accessibilità nelle arti performative. La voce della direttrice è accompagnata dalla lingua dei segni. Le tre coreografie sono a cura di tre compagnie: Feeling Good di FND/Aterballetto, coreografia di Diego Tortelli; Fine Lines di Skånes Dansteater, coreografia di Rosa Lopez Espinosa; Set and Reset/Reset di Candoco Dance Company, coreografia di Trisha Brown.

Le prime due coreografie sono duetti che coinvolgono performer abili e con disabilità. Il concetto di corpo imperfetto viene messo in discussione: se inizialmente appare evidente allo spettatore quale sia il corpo imperfetto, durante la performance si comprende che il corpo perfetto non esiste, bensì esistono corpi mancanti che sono necessari l’uno all’altro così come sono, completandosi a vicenda attraverso la danza. Gli artisti si fanno carico l’uno del corpo dell’altro – che non è mai un peso – dando origine a una performance in cui corpi e sostegni dei corpi si fondono insieme.
La coreografia finale coinvolge sette danzatori che si muovono sul palco; ognuno interpreta la danza con la propria abilità: chi solleva una stampella, chi disegna cerchi con le ruote, chi piega un braccio. Finalità artistica e ricaduta sociale vengono superate da gesti che vanno oltre i confini semantici e sintattici della grammatica gestuale, significando altro: l’azione performativa rovescia prospettive, crea relazione, mostra possibilità.

Scrosciano gli applausi attraverso mani battute e mani sollevate che agitano le dita, “applauso!” nella lingua dei segni italiana. Per abitudine – e per pigrizia – tendiamo a omologare, considerando il generale a discapito del particolare. Ognuno invece è diverso a modo suo, ognuno ha le sue esigenze particolari. La considerazione di queste esigenze, per alcuni, può voler dire possibilità di vivere esperienze che altri danno per scontate. Ci dichiariamo sempre di più sensibili a parole come “inclusione”, relegandole tuttavia a una teoria che immobilizza: inclusione, invece, significa passare dalla teoria all’azione, dando realtà al concetto di accessibilità nella pratica, nella vita quotidiana. Chissà se in futuro vedremo più rampe in teatro.
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