
“Moon Knight” Episodio 5 – Il nodo originario
Per parlare di questo episodio 5 di Moon Knight è utile riformulare la metafora emersa nella (acuta quanto raffinata) recensione del’episodio precedente: il protagonista è la pietra che, cadendo nell’acqua, scopre che la vera realtà non è al di qua, ma al di là del suo riflesso.
Abbiamo scoperto insieme a Steven Grant e Marc Spector che la realtà autentica è l’ospedale psichiatrico in cui sono accuditi, e che buona parte degli eventi a cui abbiamo assistito finora sono solo trasfigurazioni mitologiche, fantasie supereroistiche allestite dal protagonista.

Eppure non è davvero così, e la serie cambia ancora le carte in tavola: quella che negli ultimi minuti dell’Episodio 4 sembrava una rivoluzione copernicana, un cambiamento radicale di prospettiva, ora si rivela qualcosa di ancora più complesso. Entrambi i lati dello specchio sono reali, il problema è capire come orientarsi al loro interno, dove sia il confine. Sia la mente fratturata del protagonista, sia la realtà della Duat (l’aldilà, secondo l’antica tradizione religiosa egizia) assumono l’aspetto di una clinica psichiatrica: questi due sistemi si confondono, si mescolano, si contendono lo spazio della messa in scena.
Quindi non si tratta più – come poteva sembrare – di una dualità oppositiva ed esclusiva (uno al posto dell’altro: la realtà dell’ospedale, “autentica”, che prende il posto della realtà “immaginata” negli episodi precedenti), ma di una dualità complementare (uno completa l’altro).

Il dentro e il fuori, la realtà interiore e quella esteriore, sono ugualmente vere e inseparabili: comunicano, in osmosi tra loro, senza soluzione di continuità. E se negli episodi precedenti erano gli specchi a predominare, ora il passaggio da un lato all’altro avviene attraverso le porte: sono loro gli spazi liminali che ci consentono di accedere ai ricordi di Steven/Marc. La scelta di rappresentare i ricordi dando loro un’organizzazione architettonica è un topos sempre più diffuso (pensiamo a Sherlock, Inception, Interstellar, Hill House) ma qui si adatta benissimo al tentativo di rendere visivamente la frammentazione di una mente che non vuole ricomporsi: l’impressione è che Moon Knight abbia saputo sfruttare le intuizioni migliori di Legion (altra serie in cui i disturbi mentali erano centrali), inserendole in un tessuto narrativo più compatto, mainstream eppure non meno d’impatto.

Tutte le invenzioni visive mirano a raccontare il viaggio di Marc/Steven nella sua interiorità: una vera e propria catabasi che gli richiede di risalire, a fatica e con sofferenza, fino al nodo originario, alla questione che fonda la sua identità e il suo modo di essere eroe, per poi provare a scioglierlo. È un nodo aggrovigliato attorno a due momenti che definiscono l’impossibilità di dare una chiusura al lutto e di ricostruire una relazione fondamentale, immedicabilmente distrutta. Il cuore di Moon Knight è un mancato perdono, un conto aperto col passato: proprio perché è un uomo diviso e spezzato, Marc viene scelto per diventare un eroe. Inutile dire che questa circostanza permette a Oscar Isaac di sfoderare una competenza attoriale fuori dal comune, messa qui alla prova con una gamma davvero variegata di emozioni.

Nella conclusione dell’episodio il due diventa uno: i due lati dello specchio si riuniscono. La ferita aperta sul passato si cicatrizza e scopriamo che anche questo, come già il penultimo episodio di WandaVision, è in realtà una origin story. Una storia di origini con un impianto narrativo tradizionale e tipicamente marvelliano (trauma – ingresso/scoperta dello straordinario – investitura), presentata in modo non banale ma quasi indiziario. La struttura dell’episodio e del cammino di Marc sembrano alludere proprio al percorso terapeutico che seguono, nella realtà, le persone affette da disturbi mentali: una scelta impressionante e commovente.
Al momento, questo è forse il punto più alto della serialità televisiva Marvel per coraggio, complessità e potenza visiva. È un episodio inaspettato, che provoca e destabilizza, mettendo in scena una delle storie più strazianti dell’universo Marvel, tragica e così plausibile nel suo nucleo più profondamente umano.
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