
Alda. Diario di una diversa – Incontro tra emarginazione e poesia
La scena si apre su un pianoforte rovesciato. Dietro, un cumulo di sabbia con sopra alcuni individui sdraiati, paiono senza vita. In primo piano una donna dai capelli bianchi. Sembra stanca, ma desiderosa di condividere una storia con chi ha voglia di ascoltare.
I primi momenti della performance in scena al teatro Eleonora Duse di Genova dal 15 al 20 Febbraio, introducono le note dolenti che accompagneranno il pubblico nel viaggio della vita di Alda Merini, presentato come come un ossequio al suo passato.

Mettere in scena la vita della poetessa milanese non può prescindere dalla narrazione del dolore, dello smarrimento, dell’inadeguatezza. La scelta del regista Giorgio Gallione è stata quella di narrarne la vita tramite un monologo. Grazie alla presenza scenica della potentissima Milvia Marigliano infatti, il susseguirsi di una selezione dei principali accadimenti della vita di Alda Merini scorre lineare di fronte agli occhi dello spettatore immerso in un sogno lirico. Essenziali per conferire lirismo e poesia alla performance sono le figure mute e plastiche sullo sfondo che fanno da correlativo oggettivo agli stati d’animo della poetessa: a volte sono protagoniste di danze eleganti e folli, a volte sono figure dolenti, altre gioiose, altre ancora mute e immobili, figure vuote, sconsolate. Sfruttando sapientemente anche il mezzo scenico della sabbia i ballerini interpreti (Luca Alberti, Angela Babuin, Eleonora Chiocchini, Noemi Valente e Francesca Zaccaria) riflettono l’oscillazione tra sensualità e desolazione che caratterizza i movimenti della protagonista .
Due fili rossi, poesia e solitudine, si intrecciano e si compenetrano nella narrazione, l’uno dà vita e alimenta l’altro, che ne allevia le sofferenze e dona a esso una voce. La solitudine come male di vivere accompagna Merini per tutta la vita: a partire dall’infanzia difficile all’insegna dell’incomprensione. Alda nasce a Milano il 21 marzo 1931; centrale nel segnare la sua infanzia è la figura della madre che viene raccontata come fredda e austera, attenta al buon nome della famiglia e convinta che alle figlie femmine non spettasse un’educazione più che elementare. Per questo motivo durante la crescita ad Alda è negata la possibilità di formarsi come vorrebbe e persino di continuare a suonare il pianoforte. La separazione dall’amato strumento è uno dei primi grandi dolori che porteranno la poetessa sempre più verso il baratro della solitudine.

Essenziali all’interno della narrazione sono gli amori che numerosi si susseguono nella sua vita: un lungo matrimonio con Ettore Carniti, da cui avrà 4 figlie, ma anche amori brevi, non per questo meno intensi. Tutti infatti, quando finiscono, lasciano un vuoto maggiore di quello che avevano momentaneamente colmato. Il vuoto della solitudine sembra portare infatti la poetessa ad amare incondizionatamente ogni uomo disposto a darle parte di sé. Tra quelle raccontate vi è la relazione manicomiale con Pier: un amore ingenuo, quasi infantile, sintomatico del bisogno di calore e umanità, i due si trovano dietro le sbarre del manicomio e condividono affetto e tenerezza. Un idillio ambientato all’inferno, destinato a finire immediatamente quando scoperto dagli inservienti dell’ospedale.
“Io sono folle, folle,
folle di amore per te.
Io gemo di tenerezza
perché sono folle, folle,
perché ti ho perduto.
Stamane il mattino era sì caldo
che a me dettava questa confusione,
ma io ero malata di tormento
ero malata di tua perdizione.”

Il racconto degli anni trascorsi nell’Ospedale Psichiatrico Paolo Pini di Milano segna una spaccatura netta. In modo chiaro e realistico vengono narrati i soprusi e le violenze gratuite insieme alla disumanizzazione che a volte negli internati si trasforma in disperata ricerca di ritorno alla madre terra e così alla propria essenza primordiale .
Ma anche dopo la liberazione a seguito della legge Basaglia la vita non sarà facile: ritornata a Milano la sua nomea di matta e poetessa le renderà difficile reinserirsi in modo appagante nella società.
Strettamente collegata con la ricerca spasmodica d’amore è la mancanza delle figlie. Laceranti sono infatti i sensi di colpa per non averle potute crescere lei stessa a causa delle sue fragilità. L’enorme senso di abbandono si lega con la consapevolezza che la sua attesa è destinata a restare insoddisfatta e che la possibilità di crescerle e di essere una madre stabile ormai è perduta per sempre.

Le poesie si susseguono all’interno del monologo, per chi non le conosce bene è difficile
individuare quale parte sia scritta dal regista e quale estratta da una raccolta di poesie, il tono dell’interprete rimane infatti invariato, sempre sentito e ispirato .
Ma che cos’è allora la poesia per Alda? Grazie alla parola in versi l’incomunicabilità di una vita nel segno del dolore ha trovato una via percorribile su un foglio bianco. “La follia prima diventa dolore, poi delirio poi poesia”. Poesia quindi come modo per rapportarsi alla follia; sollievo, ma anche condanna; sofferenza, ma anche cura, testamento.
“O poesia non venirmi addosso
sei come una montagna pesante,
mi schiacci come un moscerino;
poesia, non schiacciarmi,
l’insetto è alacre e insonne,
scalpita dentro la rete,
poesia, ho tanta paura,
non saltarmi addosso, ti prego.”
Alla fine della performance è chiaro che Alda Merini non può essere ridotta alla definizione di poetessa d’amore romantico. Il suo linguaggio semplice e universale racconta gli emarginati, i derelitti e i dolorosi travagli dell’essere umano nel momenti in cui gli è negato ricevere e soprattutto dare amore.
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