
‘Lingua Madre’ di Lola Arias – Nuove idee di maternità
Il palco dell’Arena del Sole si mostra come una specie di sala d’archivio, a due piani, di un museo indefinito, «una camera delle meraviglie» ci racconta Lola Arias, dove oggetti disparati, appollaiati sopra gli scaffali, attendono di essere giocati. Il piano di sopra, sgombro, sembrerebbe una passerella. Uno schermo in alto restituisce:
Enciclopedia sulla riproduzione nel XXI secolo.
Edizione Bologna
Così si presenta l’atteso spettacolo, produzione ERT, della regista argentina, coinvolta ben due anni e mezzo nel territorio bolognese.
Luci spente in sala, otto persone entrano in scena, tutte hanno un libro in mano e ripetono meccanicamente una sequenza con quell’oggetto. Dopo poco, abbandonando i libri: ciò che c’è scritto lì dentro non basta più. Le voci delle enciclopedie parlano di un mondo che è diventato altro: questo spettacolo tenterà di creare un più ampio repertorio di umanità. Tema alla base di questa rivoluzione: il concetto di maternità.
Per un’ora e mezza, le otto “non-attrici” condividono, con noi pubblico, episodi di dolore, straniamento, non-accettazione sia di sé sia della realtà circostante. Le testimonianze servono a mettere in luce tutti i problemi speculativi, burocratici, sociali e immaginativi che la parola “maternità” porta con sé, proponendo, al tempo stesso, nuove e diverse possibilità di una sua declinazione.

Lo spettacolo è diviso in capitoli (titolati, di volta in volta, sullo schermo) relativi ad alcuni sottotemi: educazione sessuale, desiderio, parto, famiglia, atto di nascita… Unite all’interno di questa struttura, le singole storie costruiscono un nuovo repertorio di maternità.
Egon è un transessuale F:M (female to male) e madre. Uomo e madre allo stesso tempo. Con quale dicitura compare sopra il documento di sua figlia? Cosa significa la parola “madre”? Florette, camerunense, madre per necessità. Martina, Chiara e tutte le altre ci raccontano storie di maternità indesiderate, rifiutate, calate in un contesto cattolico, svincolate dalla dimensione biologica, surrogate (GPA). Si balla il ballo del “pillolo” e si ricordano le lotte per l’aborto negli ospedali bolognesi.

Le storie così variegate, autentiche, potenti fanno fronte comune contro i modi abituali di definire la “maternità”. Una telecamera, di volta in volta, riprende le testimoni: i loro volti appaiano sullo schermo in alto, accanto anche a foto delle stesse con i propri cari in momenti importanti della vita.
La dimensione collettiva non schiaccia i singoli racconti, anzi ne amplifica la portata. Il meccanismo è manifestato, in maniera efficace, nei diversi canti spalmati durante lo spettacolo. L’amalgama di voci del gruppo, che creano quello che in gergo viene definito “il tappeto”, sorregge le diverse soliste, esaltandone le peculiarità e creando una polifonia totalizzante.
Questa epicità ordinata, rispettosa, combatte l’“invece a me…” odierno, la gara di messa in scena di sé, sempre più presente nei contesti quotidiani. Il palco legittima il dare parola a persone che, evidentemente, non hanno spazio al di fuori delle loro bolle d’interazione, che non riescono a far parte delle agende d’interesse sui social media e nel dibattito pubblico in generale. Il palco, in questo caso, garantisce qualità di ascolto non indifferente, quasi protezione.

Per tutelare maggiormente le interpreti, la regia incasella, delle volte, con troppa rigidità le performer: scrittura estremamente sorvegliata, struttura solida, impiego di un linguaggio simbolico rendono a tratti più artificiose le testimonianze e fanno sì che molti argomenti restino poco sviscerati.
Il progetto è, tuttavia, validissimo per l’intento sociale e politico e realizza un teatro sconfinante nell’attivismo. Lingua Madre è il fulcro, infatti, di un’iniziativa, promossa dall’ERT, ancora più vasta, dal titolo Matria che ha permesso a diverse realtà bolognesi di studiose, attiviste e artiste di entrare in contatto, e che ha offerto alle cittadine e cittadini di Bologna momenti di condivisione.
Lo spettacolo ha già un destino: la regista lavorerà allo stesso tema in luoghi diversi con performer diversə. Altre culture e legislazioni permettono di «attraversare una frontiera e arrivare a idee diverse di maternità» ci dice la regista. In Spagna, sono già state intervistate madri single che decidono un cammino di procreazione assistita a 45 anni.
Il modo di pensare, definire, vivere la maternità, oggi, è in continuo mutamento; un progetto come Lingua Madre accelera il processo di accettazione di realtà considerate ancora a-normali e crea spazio per il fiorire di nuovi immaginari.
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