
Inside Job, la serie Netflix tra teorie del complotto e borghesia
Inside Job è la nuova serie d’animazione (creata da Shion Takeuchi) targata Netflix: sulla piattaforma la serie dei correlati (che sono settati su di me, certo, ma che seguono anche tag intratestuali) coinvolge Rick&Morty, Disincanto, Big Mouth, Midnight Ghospel, Paradise Police, Tuca&Bertie, BoJack Horseman. Prima di tutto per il 2D – che ormai, dopo un periodo di crisi più o meno dura (testimoniata dai grandi produttori quali Disney e Pixar, quali Dreamworks etc), si è conquistato una fetta delle produzioni, soprattutto low budget; in secondo luogo per l’attitudine irriverente, ironica, comica, parodica, satirica, insomma all’interno dell’insieme retorico della commedia. In particolare siamo nel dominio del mondo alla rovescia, come lo chiamerebbe Cocchiara, una sorta di parodia del mondo: in Inside Job tutte le teorie del complotto o quasi sono vere, o perché originali (i Rettiliani tentano effettivamente di conquistare il mondo) o perché inventate con un obiettivo, per esempio mantenere lo status quo, ritenuto thatcherianamente la migliore delle alternative sociali.
La Cognito Inc., insomma, è una agenzia privata che, al servizio di numerosi gruppi desideranti di controllare il mondo (in una scala gerarchica poco chiara, contraddittoria ma verticale), si occupa di inventare delle narrazioni virali che coprano le scomode verità: oltre ai rettiliani, lo sbarco sulla luna è per davvero stato girato da Kubrik, la terra non è né piatta né sferica, Oprah è malvagia, eccetera. A capo della Cognito Inc. sta J.R. Scheimpough; appena sotto di lui Reagan Ridley (bello il riferimento al presidente Reagan, uno dei più bellicosi e paranoici presidenti degli USA), figlia di Rand Ridley, ex co-Ceo dell’azienda mandato via per alcolismo, ma geniale e soprattutto più complottista dei complottisti fuori e dentro; quindi una X Force composta dallo yesman Brett Hand, anche qui nomen omen, che è esattamente il suo guscio motivazionale (o no), Glenn Dolphman (un ex militare metà delfino), Gigi Thompson (un’influencer ninfomane), Dr. Andre Lee (un dottore? tossicodipendente) e infine Magic Myc (una sorta di fungo allucinogeno senziente).

Le premesse, come immaginate, sono buone o molto buone. E infatti la serie scorre bene, con delle buone linee individuali e una buona narrazione corale, avvincente e soprattutto divertente. Il problema, e qui andiamo velocemente al succo della questione, è che il contenitore complottista, che si aspetta dia ragione a ogni cosa, in realtà si perde strada facendo e diventa soltanto l’attivatore dell’episodio singolo, il casus belli narrativo, risolvendosi puntualmente dopo i venti canonici minuti. Invece una serie che colga la palla cospirazionista al balzo… pensiamo a quanto sia centrale capire come QAnon abbia influenzato la politica americana, o spendersi in una reale comprensione delle teorie antivacciniste, che tanto impediscono una pacifica e congiunta azione contro la pandemia di Sars-Covid-19. Complotti! Da Qanon alla pandemia, cronache dal mondo capovolto è il titolo del libro di Leonardo Bianchi per Minimum Fax; Enrico Buonanno firma per UTET Non ce lo dicono. Teoria e tecnica dei complotti dagli Illuminati di Baviera al Covid-19; Massimo Polidoro Il mondo sottosopra per Pickwick. Capite bene che il momento è questo, è ora, perché tutti desideriamo una serialità non solo buona, complessa, ma soprattutto in grado di problematizzare, non dico incidere su, la realtà culturale in cui viene prodotta. Il mondo alla rovescia (o capovolto, o sottosopra, a sentire la saggistica) è proprio una tecnica parodica e, in qualche modo, distopica-ucronica che agisce sullo scollamento sempre più decisivo tra verità condivisa e fantasia condivisa, verità individuale e fantasia individuale.
Esistono film che ripetono o sfruttano il singolo complotto come soggetto, soprattutto se consideriamo i complotti come elementi necessari a una certa fantascientifica (qui una selezione interessante di Wired). Serie mi sembra molto meno, eppure è proprio la lunga durata seriale che permetterebbe il cambio dall’utilizzo narrativo della singola teoria cospirazionista a una sorta di teoria del tutto cospirazionista (che caratterizza le nuove tendenze reali). Ci ha provato il reboot di Utopia (2020), prima britannica (2013): un virus viene diffuso di proposito per motivi a metà tra ambientalismo radicale e desiderio di ascesa socioeconomica. Ma viene cancellata (forse per l’infelice coincidenza con l’attuale pandemia?) e i suoi sforzi disinnescati.

Insomma, Inside Job è la classica serie che parte da una buonissima idea ma si perde facilmente e, oserei dire, volentieri, comprendendo che l’avventurarsi serio e faceto nella costruzione di una teoria del tutto complottista (come è quella di QAnon o di Scientology) significherebbe spenderci troppe energie e troppo tempo. Preferisce, invece, profumarsi di borghesia e utilizzare la cospirazione come trappola narrativa facilmente disinnescabile: funziona? Sì, anche per il tirare in ballo, continuamente, la storia americana e la sua contemporaneità che è ormai la contemporaneità di tutti, del mondo occidentale.
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Interessante. Spero ne valga la pena.