
Can’t believe the way we flow – Oliviero Bifulco debutta al Fraschini
Luci, ombre e corpi in continuo movimento. Così ha inizio Can’t believe the way we flow, coreografia ideata dal ballerino ventiseienne Oliviero Bifulco, e interpretata dallo stesso insieme ai coetanei Viola Busi, Julia Canard, Valentin Chou, Coralie Murgia, Renato De Leon, Martina Marini, Layla Proietti Bovi, Anna Zardi, Matteo Zorzoli. Il respiro internazionale si coglie anche negli altri aspetti della produzione: musiche di Max Richter (tra i suoi lavori ci limitiamo a ricordare la colonna sonora di Valzer con Bashir, e la partecipazione alla colonna sonora di Shutter Island), scene e luci di Cécile Giovansili Vissière, costumi di Wibke Deertz. Prima produzione di danza del Teatro Fraschini e primo lavoro da coreografo del giovanissimo ballerino pavese, è andata in scena sabato 20 e domenica 21 novembre al Fraschini, in prima nazionale.

Luci, ombre e corpi in continuo movimento è forse una delle definizioni più semplici e riassuntive della parola danza, intesa nella sua accezione più ampia e fluida di arte performativa. E sono proprio i concetti di performance e fluidità che Bifulco ha cercato di indagare e mettere in atto con questa coreografia, insieme ai suoi compagni.
I danzatori partono da una comune base di formazione accademica presso tradizionali e prestigiose Scuole di ballo, come quella del Teatro alla Scala per Bifulco. Nel corso dello spettacolo i movimenti e le pose dei performer tendono a liberarsi dalla rigorosità e dalla compostezza classiche, restituendo la volontà di interpretare le azioni in chiave più personale e contemporanea: i movimenti si concentrano sulla parte superiore dei corpi, insistendo sul tronco e le braccia. La forza viene incanalata soprattutto negli arti durante l’esecuzione di salti e sollevamenti che accentuano il dinamismo della coreografia. Il dinamismo è caratteristica intrinseca: lo spettatore viene catturato dal flow, il flusso, che scorre imperterrito per tutta la durata della performance.

Il flusso comincia il suo movimento a partire dalle prime note a cura del compositore Max Richter che riempiono il teatro ancora prima che si spengano le luci e che i danzatori compaiano sul palcoscenico. Le azioni si susseguono una dopo l’altra, spingendo gli spettatori a entrare nel flusso in cui sono trasportati i performer: si viene coinvolti in un racconto dai tratti onirici, accentuati dall’articolazione dei brani musicali e delle luci che a volte nascondono – mostrando le ombre – e che a volte rivelano le forme e i movimenti dei danzatori. Nel flusso si corre il rischio di smarrirsi, ma i performer diventano guide: accompagnano gli spettatori nel flusso e li orientano, indicando loro l’inizio e la fine, che arriva decisa e tranchant, per sottolineare la conclusione della dimensione possibile inaugurata dalla danza e il ritorno alla realtà.

Il carattere giovane dello spettacolo viene in luce in alcune azioni appena incerte, come i momenti più intimi che prevedono un numero ridotto di performer sulla scena, che riempiono a fatica lo spazio scenico. Tuttavia la giovinezza risulta anche punto di forza della coreografia. Non stupisce infatti che siano proprio dei giovanissimi performer a creare e muoversi in questo flusso: possiedono l’energia e l’entusiasmo di chi è appena entrato nello scorrere della vita, e tenta, attraverso la danza, di isolare una porzione di questo flusso vitale, come per scattare una fotografia con cui fare memoria in futuro di questo spaccato di vita. Ma il flusso non si può fermare, come insegna il ritmo serrato dello spettacolo, e infatti anche la danza, in quanto arte performativa, non sopravvive a sé stessa: affida la memoria alla ripetizione, alla sua continua rimessa in atto. Perciò Can’t believe the way we flow può essere un punto di partenza per i suoi giovani interpreti da cui sperimentare forme di danza che sappiano avvicinare il pubblico – giovane e non – a un’arte che può essere strumento di narrazione della nostra contemporaneità.

Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
Aiutaci a sostenere il progetto e ottieni i contenuti Birdmen Premium. Associati a Birdmen Magazine – APS, l‘associazione della rivista