
Sean Sean – 50 anni di Giù la testa
Il 29 ottobre 1971 usciva nei cinema italiani Giù la testa, sesto film di Sergio Leone e secondo della cosiddetta Trilogia del tempo, andando a inserirsi tra C’era una volta il West e C’era una volta in America. Giù la testa è (escludendo Il Colosso di Rodi e le sue grandi differenze con la filmografia successiva) probabilmente il meno ricordato dei film di Leone, meno iconico della Trilogia del dollaro e meno celebrato dei due C’era una volta…, ma a cinquant’anni dalla sua uscita merita assolutamente di essere recuperato.

Juan Miranda é un peone messicano, un bandito irriverente e ridanciano dello stesso stampo del Brutto di Eli Wallace (inizialmente considerato per la parte), che si guadagna da vivere rapinando diligenze insieme ai suoi numerosi figli. Lo status quo verrà sconvolto dall’incontro con John Mallory (in realtà Sean), bombarolo ed ex rivoluzionario dell’IRA irlandese; Juan vede in Mallory un esplosivo passepartout per tutte le banche del Messico, ma finirà invece per rimanere coinvolto nella rivoluzione messicana di Zapata e Pancho Villa, diventando involontariamente un eroe popolare.
La coppia Juan e John, interpretata da Rod Steiger e James Coburn, è il cuore del film, riesce a risultare divertente, solida e infine commuovente per tutta la lunga estensione della pellicola; furono gli attori stessi ad ottenere (anche a costo di ridursi il cachet) che a dirigere il film fosse Sergio Leone, che intendeva invece affidarlo a un altro grande del western, Sam Peckinpah, per concentrarsi sul monumentale lavoro per C’era una volta in America.

“Quando ero giovane credevo in tre cose. Il Marxismo, il potere redentore del cinema e la dinamite. Oggi credo solo nella dinamite.” La celebre citazione è di Leone, e in Giù la testa, il suo film più politico, viene ripetuta in una versione leggermente alterata da James Coburn, il cui personaggio è la vera e propria incarnazione del concetto.
La pellicola riprende gli spunti iniziati in opere precedenti, come nella fantastica scena del comandante ubriaco (interpretato da Aldo Giuffré) di Il buono, il brutto, il cattivo sulla futilità e crudeltà della guerra, e li espande alla rivoluzione, i suoi effetti, la lotta di classe. La rivoluzione è il tema portante del film, una forza scatenante che punta a una società più giusta, ma Leone alimenta il dibattito mostrandone anche i lati più spinosi, l’eccessiva idealizzazione e l’imborghesimento della rivoluzione stessa, che finisce per dimenticarsi degli effetti spesso nefasti sulla popolazione più indifesa. Gli incontri/scontri di Juan con la borghesia sono occasione di comicità, giocando sulla divertente irruenza e fisicità del personaggio di Rod Steiger, mantenendo però in primo piano l’amara inconciliabilità tra due mondi, di una società contadina giudicata alla stregua di un gregge di bestie ignoranti e perverse.
Il risultato non è un’analisi politica esaustiva o sorprendente, ma il confronto tra il cinismo di Juan e l’idealismo di John, e la prevedibile ma comunque efficace inversione di ruoli, regalano comunque un buon ritratto della lotta tra spirito rivoluzionario e disillusione della fine del ’68, portando sullo schermo i dubbi di una generazione smarrita che si ritrovava nel ’71 a chiedersi, come Juan nel malinconico finale, “ e adesso io..?”.

La regia di Leone è forse meno virtuosa rispetto alle sue altre opere, pur mantenendone i classici stilemi e i tempi dilatati, e la sceneggiatura (scritta con Sergio Donati, che aveva già collaborato ai film precedenti) tradisce in alcuni passaggi processi di riscrittura e confusione, mentre sempre incriticabile è la colonna sonora di Ennio Morricone, che spazia dall’epica farsesca della Marcia degli Accattoni al memorabile tema principale, il leitmotiv Sean Sean che accompagna i flashback del dinamitardo irlandese.
“La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. La rivoluzione è un atto di violenza”. Giù la testa (…coglione, nel titolo originale censurato) si apre con questa impegnativa citazione di Mao, inquadrando fin da subito la complessità dell’argomento, la cui gravitas viene però immediatamente sdrammatizzata da un primo piano di Juan che orina. L’umorismo nero di Leone mantiene la vicenda godibile e divertente, senza però svilire la materia trattata, e da questo equilibrio nasce un altro grande film del regista romano, degno di essere ripreso e analizzato insieme alle sue opere più celebri.
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