
Salone del Libro 2021 | Gabriele Muccino racconta “La vita addosso”
All’edizione 2021 del Salone del libro di Torino ospiti non solo scrittori, ma anche autori provenienti da altri campi. Gabriele Muccino, insieme ai giornalisti Paola Giacobbi e Gabriele Niola, anche suo co-autore, intrattiene un dialogo per presentare la sua autobiografia edita da UTET: La vita addosso: io, il cinema e tutto il resto. Ad assisterlo e a leggere alcuni brevi estratti del testo c’è Claudio Santamaria, uno dei suoi attori prediletti.
“Sono finito anche io nella director’s jail“, spiega Muccino a un certo punto dell’incontro. Così è come definiscono, a Hollywood, quel baratro in cui un regista finisce inevitabilmente al secondo insuccesso cinematografico. E infatti Muccino ci finì in quel buco nero, a detta sua, dopo aver girato Quello che so sull’amore (2012) e Padri e figlie (2015), purtroppo considerati due flop.
Tuttavia, la parabola americana di Muccino, durata ben dodici anni, non si esaurisce con solo note negative, tutt’altro. La sua esperienza americana è ricca di aneddoti preziosi, momenti indimenticabili, ricordi non tanto di un regista ma di un cinefilo che scopre la sua terra santa, Hollywood.
Proprio di queste suggestioni si riempie il romanzo autobiografico, che risulta così essere una chicca non solo per i fan di Muccino, ma per tutti gli appassionati di cinema e, soprattutto, di storie.
Perché un libro sulla sua vita?
Gabriele Muccino racconta La vita addosso e come l’idea sia nata dopo essere stato intervistato da Niola per BadTaste; durante quella chiacchierata, Muccino si rende conto della quantità di vita e esperienze memorabili che ha raccolto negli anni, un vissuto che desidera condividere con il mondo. Lo fa partendo dalla sua infanzia, dal raccontarsi bambino ora che è adulto: un bambino schivo, balbuziente e introverso. Balbetta ancora oggi, Muccino, ma lo fa ridendo.
Quel bambino cresce e si appassiona al cinema, innamorandosi della filmografia italiana degli anni Sessanta. Una passione che fa eterno ritorno sia nei suoi film che nei suoi lavori per la pubblicità, primo tra tutti il famosissimo spot e cortometraggio She Was Here, ispirato a La dolce vita di Fellini e prodotto per Lancia, ma anche, in parte, nel recente spot per il rilancio della Calabria.

Frequenta il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e proprio lì inizia a lavorare su documentari, prodotti reportistici e corti: è facendo cinema, lo spiega sul palco, che il bambino timido risolve la sua crisi d’identità. Il controllo sulle storie, sui percorsi e sui personaggi aumenta la sua autoconsapevolezza. Una coscienza di sé che sembra accompagnarlo a momenti alterni: dei suoi primi grandi successi italiani neppure si capacita, e il confronto con i grandi dell’America lo vedono protagonista di situazioni ironiche ed eccentriche.
Con il suo occhio disincantato e con la sorpresa del pubblico, nonché con il prezioso aiuto di Claudio Santamaria che legge alcuni estratti del romanzo, Gabriele Muccino racconta della sua vita, dunque: di quando Al Pacino si convinse della sua incapacità di riconoscere le sfumature, a causa di un incomprensione linguistica; della canzone originale che Stevie Wonder aveva scritto per il film Padri e figlie, e che le produzioni si erano rifiutati di comprare per questioni di budget.
La vivacità di Gabriele Muccino travolge la sala, e la conversazione a quattro ci ricorda quella di alcuni vecchi amici che si incontrano su un palco. L’ultima parentesi di dialogo riguarda il capitolo finale di La vita addosso, una sorta di compendio di sliding doors hollywoodiane: cosa sarebbe successo se mi avessero prodotto tale film, cosa invece sarebbe accaduto se un certo attore avesse partecipato alla mia produzione, e così via.
Muccino ci saluta in questo modo: alla domanda di Paola, “da chi ti faresti interpretare in un film sulla tua vita?”, il regista risponde “sto già studiando”.

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