
Al di là dei “vecchi tempi” – Celebrare Buster Keaton andando oltre i grandi film
Nel 2017, durante il Festival del Cinema Ritrovato a Bologna, una sera mi recai con un’amica a vedere la proiezione di Steamboat Bill Jr., film di Buster Keaton del 1928. Si trattava di una pellicola che già conoscevo, ma vederla in tale cornice, con l’accompagnamento dell’orchestra dal vivo e insieme a tante persone era qualcosa di magico. Come se non bastasse, all’arrivo della scena più celebre del film, quella in cui la facciata di una casa crolla addosso a Buster, che resta illeso grazie alla provvidenziale presenza di una finestra proprio sopra di lui, il pubblico di Piazza Maggiore esplose naturalmente in un applauso liberatorio, gioioso. Questo episodio, che ricordo ancora con un po’ di emozione, è un modo molto sdolcinato per cominciare un piccolo articolo che vuole celebrare Buster Keaton, nato il 4 ottobre di “soltanto” 126 anni fa, invitando però a non fermarsi al ricordo nostalgico dei bei “vecchi tempi” del muto, perché oltre quello c’è molto altro da scoprire.
Dei film di Buster Keaton più famosi, quelli dell’epoca del muto, appunto, avrete già sentito almeno parlare: andiamo dai due rulli come Cops, The Playhouse, Hard Luck (alcuni di questi hanno da poco raggiunto il centenario dall’uscita), ai lungometraggi come The General, The Cameraman e quello citato in apertura; in ognuno di questi, Keaton emerge come uno dei grandi autori del proprio tempo, estremamente abile nell’uso del proprio corpo e fantasioso nella creazione delle sue “gag impossibili” (come le chiamava), senza niente da invidiare ai propri colleghi come Harold Lloyd o Charlie Chaplin.
Keaton fa il suo debutto nel mondo del cinema nel 1917, dopo aver lavorato fin dalla più tenera età nel vaudeville, insieme ai genitori e poi ai fratelli. È in quell’ambiente che impara a cadere e muoversi come poi farà nei suoi film: suo padre era solito lanciarlo da una parte all’altra del palco come se niente fosse, tanto che il piccolo Buster veniva soprannominato “lo straccio umano”. Nel corso di questo periodo, stando sul palcoscenico Keaton impara anche un’altra cosa che si porterà dietro per l’intera carriera: per uno “straccio umano” ridere delle proprie disavventure non è affatto credibile, meglio restare impassibile, incassare, in modo da far divertire di più il pubblico. Nasce così quella “faccia di pietra” per cui è tanto famoso, anche se basta guardare semplicemente i film degli inizi, in cui recita per e con Roscoe “Fatty” Arbuckle, per osservare come a Keaton non mancasse certo l’espressività.

Per ricostruire la carriera di Buster Keaton o il suo modo di lavorare non possiamo comunque che rimandare a studi e opere ben più autorevoli di questo articolo, e se volete avere un quadro completo e decisamente di piacevole fruizione il consiglio è di recuperare Buster Keaton: a hard act to follow, documentario di Kevin Brownlow e David Gill prodotto per Thames Television nel 1987 e diviso in tre episodi. Attraverso la sua visione è possibile farsi un’idea non solo dell’aspetto più conosciuto della carriera di Keaton (indicativamente, dagli esordi nel cinema come autore autonomo agli anni Trenta), ma anche di ciò che è venuto dopo, che spesso non viene approfondito. Certamente vengono affrontati i problemi con la carriera, l’alcolismo, ma anche il fatto che Keaton non si è mai dichiarato sconfitto, continuando a lavorare anche in parti minuscole, o scrivendo gag per altri (alcuni potrebbero rimanere sorpresi del fatto che ne scrisse anche per i Fratelli Marx), fino alla riscoperta del suo talento da parte del pubblico, le ultime imprese e la fine.

«Mi aspettavo di incontrare un uomo cupo e amareggiato. Mi aspettavo di vederlo seduto tristemente in un angolo a parlare (a monosillabi) di tutti coloro che gli avevano rovinato la carriera. […] Ma la realtà era completamente diversa.» Questo scrive Brownlow ricordando il suo incontro con Buster Keaton, e subito dopo precisa che Keaton rideva, cosa che non si sarebbe mai aspettato. E non se lo aspettava perché pensando a Buster Keaton ci si ferma spesso ai “vecchi tempi” del muto, appunto, prima del crollo della sua popolarità con l’avvento del sonoro. Pensateci un momento e chiedetevi, per esempio, se abbiate mai sentito la sua voce. Molto probabilmente no, eppure quella voce è stata usata eccome.
Keaton continuò a recitare per tutta la vita, sia per il cinema (anche in film molto discutibili, certamente) che per altri media, tornando al pubblico dal vivo con il teatro e il circo e arrivando anche al mezzo televisivo: partecipò a Candid Camera, si prestò per qualche pubblicità, arrivò anche ad avere un programma con il suo nome, The Buster Keaton Show. Queste escursioni fuori dal grande schermo, che gli aveva dato la notorietà, ci restituiscono un’immagine più sfaccettata, che si discosta da quella dell’attore di altri tempi amareggiato, buono solo per presentarsi a casa di amici attori anziani e dimenticati quanto lui per giocare a carte (come fa in Sunset Boulevard, insomma, limitandosi a pronunciare una sola parola).
Per celebrare questo 4 ottobre, quindi, prendiamo spunto dalla celebre battuta che lo stesso Buster Keaton pronuncia in Limelight contro i bei “vecchi tempi” e proviamo a uscire un po’ dal seminato, magari partendo proprio dal lavoro di Brownlow, o andando dove ci suggerisce l’istinto, pescando dalla rete. Probabilmente non resteremo folgorati come può succedere con Sherlok Jr. o con One Week, ma potremmo scoprire che dagli anni Trenta in poi per la “faccia di pietra” del cinema non è stato tutto così oscuro come forse pensiamo, e potremmo imbatterci in piacevoli sorprese.

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