
Nòt Film Fest 2021 – Parola ai filmmakers
Nòt Film Fest, il festival del cinema indipendente di Santarcangelo, ha permesso a molti filmmakers di vedere per la prima volta i loro lavori sul grande schermo, dopo che la pandemia ha costretto molti eventi a spostarsi online. Birdmen, fiero media partner del festival, ha avuto modo di intervistare alcuni registi per parlare dei loro cortometraggi e delle sfide produttive che hanno incontrato.
Thy Tran di SUMMERWINTERSUMMER (USA, 2020) – Moonwalker Shorts

Come descriveresti il tuo cortometraggio a qualcuno che non ne ha mai sentito parlare?
Il mio cortometraggio è intitolato SUMMERWINTERSUMMER e racconta di un uomo asiatico gay che cerca una connessione reale in un mondo in cui anche le relazioni e le persone sono diventate usa-e-getta. Il titolo si riferisce al meteo a Los Angeles, a come non appena l’estate eterna viene interrotta si pensa subito che sia inverno, ma vuole ricordare anche il loop in cui ci si trova quando si è depressi.
Puoi descrivere il processo di produzione del film?
È stato assolutamente pieno di sfide, dal casting degli attori protagonisti al non avere il permesso per girare fino all’ultimo secondo o problemi personali dietro le quinte. Non avevo soldi per il film e quasi tutta la crew si è offerta volontaria per lavorare al film.
Questo cortometraggio poi si trasformerà in un lungometraggio?
All’inizio volevo girare un proof of concept, l’equivalente di una demo nel mondo musicale, per poi andare da piattaforme come Hulu o Netflix o da degli investitori per mostrare il progetto. La mia produttrice mi ha consigliato di realizzare qualcosa che fosse autonomo in modo da poterlo presentare ai festival e portare ai festival. I festival ci danno una piattaforma, perché ci permettono di avere pubblicità e un pubblico di cinephile. SUMMERWINTERSUMMER ha avuto la sua première al CAAMFEST, un festival di San Francisco dedicato alle storie asiatico-americane, ma questa è la prima proiezione in presenza.
Il tuo film è stato oggi presentato nella sezione Queer Stories.
Se devo essere sincero vorrei che il film non fosse nella sezione “Queer”. Se è un dramma vorrei che fosse insieme ad altri dramma e così via. Capisco l’intento perché così il pubblico può capire che si tratta di una storia queer, ma non sono un grandissimo fan delle etichette in generale.
Cos’è il cinema per te?
Il cinema per me è un’opportunità per raccontare una storia che possa toccare il pubblico e per far loro vivere un’esperienza che solitamente non vivono. In questo momento, nello specifico, c’è molta violenza verso le persone asiatiche e spero che attraverso film come il mio si possa fare luce su questo.
Lorenzo Follari di På Djupt Vatten (Offshore) (2021, Svezia) – Shooting Star Shorts

Come descriveresti il tuo cortometraggio a qualcuno che non ne ha mai sentito parlare?
È un piccolo corto molto indipendente che tratta il tema dell’essere persi, del non avere scopo, una sensazione comune e insita nell’uomo. Ragionando su questa tematica, mi era venuto in mente quest’uomo che parte in barca senza una vera meta e ho pensato fosse una metafora efficace.
Potresti parlarci del tuo percorso? Tu sei un regista italiano che è andato a lavorare all’estero, più precisamente in Svezia.
Io ho studiato prima a Londra e poi a Roma, poi non mi sentivo ancora pronto per entrare nell’industria. L’idea di trasferirsi all’estero è nata a caso. Ho scelto la Svezia perché son sempre stato affascinato dai film svedesi e dai paesi nordici in generale. Ho trovato una scuola per continuare gli studi e dopo un anno molto intensivo, ho iniziato a lavorare immediatamente come assistente camera senza una vera e propria esperienza professionale. In Svezia se tu hai talento, hai studiato e si vede che hai passione questa cosa è riconosciuta. Appena inizi a lavorare, ti occupi di film che vanno al cinema, pubblicità e serie tv. La media di età sul set è di 30-33 anni. È un’industria dove ci sono meritocrazia e parità.
Ci puoi parlare della produzione di Offshore?
Ho scritto l’idea e l’ho proposta al mio produttore e ai miei amici e questa è piaciuta a tutto. Abbiamo creato una società di produzione in due mesi con appena 2500 euro, cosa che in Italia è impossibile. Abbiamo aspettato che la società fosse attiva perché questo fosse il nostro primo progetto. Questo corto è il simbolo delle storie che vogliamo raccontare e dello stile con cui vogliamo raccontarle. Abbiamo fatto leggere la sceneggiatura a vari sponsor e abbiamo ricevuto finanziamenti, location e attrezzature. Siamo felici di averlo presentato in anteprima mondiale a Nòt Film Fest perché è un festival fresco e nuovo come piace a noi.
Roberto Zamora, co-regista insieme a Rocío Huerta di Mar y cielo (Cile, 2020) – Shooting Star Shorts

Come descriveresti il tuo cortometraggio a qualcuno che non ne ha mai sentito parlare?
Mar y Cielo è la storia di due fratelli, ma anche del rapporto conflittuale che abbiamo con la natura e l’ambiente. Vuole portare l’attenzione sul modo in cui stiamo trattando il pianeta.
Qual è stata la genesi del progetto?
Noi abbiamo alla base un credo, il sustainable filmmaking. Noi non facciamo solo film che parlano dell’ambiente, ma facciamo anche in modo che il film sia fatto in modo sostenibile. Per Mar y Cielo abbiamo lavorato con la luce solare, non abbiamo creato rifiuti, il catering era locale e vegano. Tutto l’inquinamento che non potevamo evitare è stato calcolato e abbiamo piantato alberi per controbilanciare. Quella di Mar y Cielo era una storia che volevamo raccontare perché è vicina al nostro cuore, essendo noi originari del Cile.
Com’è nata l’idea del sustainable filmmaking e come pensate di diffonderla?
L’idea è nata ormai sette anni fa, mi stavo per diplomare dall’università e avevo iniziato ad interessarmi a questioni relative all’ambiente. In Cile molte industrie arrivano e distruggono l’ambiente e la salute delle persone, quindi è un tema molto sentito. Ho letto questo articolo nel Guardian che spiegava come Hollywood fosse la seconda industria più inquinante dopo l’industria del petrolio nel distretto di Los Angeles. Per me è stato sconvolgente, ma quando ci ho pensato aveva senso tra il catering, l’elettricità necessaria e i trasporti. Basterebbe pianificare meglio il lavoro per evitare tanti sprechi. Stiamo facendo corsi, workshop e seminari per spiegare questo modo di far film.
Parliamo di riscaldamento globale dagli anni 70, ma solo negli ultimi dieci anni il tema è tornato al centro dell’attenzione. L’industria non ha reagito nel modo in cui dovrebbe, quindi abbiamo deciso di fare qualcosa di differente e siamo andati in questa direzione dogmatica. Vogliamo fare film con azioni che siano coerenti al messaggio stesso del film. Abbiamo una compagnia di produzione chiamata Fën che in mapudungun significa seme. Noi crediamo di dover lanciare semi per piantare gli alberi del futuro. Noi siamo di Berlino, il film che abbiamo presentato al festival è ambientato in Cile perché il Covid ci ha bloccati lì. Per ogni produzione facciamo con Mar y Cielo evitando qualsiasi tipo di impatto ambientale. Per il 2022 vorremmo arrivare all’originative filmmaking, cercando di rendere la vita migliore. Vorremmo realizzare film che siano come alberi e che possano avere un impatto carbon-positive.
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
Aiutaci a sostenere il progetto e ottieni i contenuti Birdmen Premium. Associati a Birdmen Magazine – APS, l‘associazione della rivista