
Back to Black: il cinema afrodiscendente a Concorto Film Festival 2021
Come recita il titolo della nuova rassegna di Concorto Film Festival curata da Vanessa Mangiavacca, Back to Black vorrebbe tornare a riflettere sulle problematiche razziali e identitarie della società contemporanea e sulle possibili forme artistiche capaci di esprimerle. Da questo proposito nasce l’intenzione di esplorare la nuova cinematografia afrodiscendente – in particolare quella americana –, il suo carattere ibrido e rivoluzionario ancora sconosciuto al grande pubblico. Quasi tutti gli artisti presenti nella rassegna attingono stili e forme dalla corrente afrofuturista dando vita ad un cinema libero, slegato da ogni genere: un cinema di ricerca visiva ed espressiva. Per tutti questi motivi, noi di Birdmen Magazine, abbiamo deciso di parlarne. Di seguito i film della rassegna.
di Luca Mannella e Maria Francesca Mortati
White afro, Akosua Adoma Owusu (2019, Ghana/Usa)

I cambiamenti politici e culturali possono partire da un’acconciatura, nel salone di un parrucchiere. Intervallando un video istituzionale d’archivio su come offrire alla clientela bianca la permanente riccia o la body wave con il racconto di una parrucchiera nera (madre del regista) impiegata in un salone della Virginia, Owusu indaga la storia di un simbolo politico, prima che estetico, divenuto oggetto di desiderio della classe bianca americana. Due voci, appartenenti a due culture opposte, si intrecciano; il filmato di una modella bianca dai capelli lisci e biondi, poi arricciati, resi “afro”, testimonia una possibile apertura politica contro le discriminazioni razziali e insieme la loro commercializzazione ed estetizzazione.
I ran from it and was still in it, Darol Olu Kae (2020, Usa)

In I ran from it and was still in it Darol Olu Kae utilizza il genere del found footage per far dialogare suggestivamente sfera privata e sfera collettiva – e infatti immagini di repertorio e video recuperati online si coagulano ai filmati in vhs del regista bambino, di suo padre scomparso prematuramente –, cultura pop e cultura letteraria: così i versi di J. Cole tratti da She’s mine, Pt. 2 («Am I worthy of this gift? / Am I strong enough to lift?») si contaminano con le frasi di James Baldwin, autore di un libro, Nothing personal, che già nel 1964 aveva esplorato le contraddizioni della società americana. La perdita e la separazione familiare, le due tematiche principali del film, affondano le loro radici non in un discorso autoreferenziale, bensì in una dimensione collettiva, in una tradizione black che riecheggia nel presente.
A terrible fiction, Larry Achiampong e David Blandy (2020, Uk)

Tra speculazioni molecolari di test genetici, spazi virtuali, animazione, testi e ingrandimenti microscopici su differenti colori di pelle naviga lo spettatore di A terrible fiction del duo artistico Larry Achiampong e David Blandy. Dalle immagini degli uccelli impagliati da Charles Darwin, dal rapporto di quest’ultimo con lo schiavo liberato John Edmonstone, il film colleziona dati, ripercorre la storia della scienza della razza e della teoria evolutiva in un viaggio tra la scientificità e la sua brutalità selettiva e soluzioni visive che cancellano ogni differenza e disuguaglianza razziale dentro un tour di volti e colori computerizzati.
Dear Philadelphia, Renee Osobu (Usa/Uk, 2020)

Il quartiere di North Philadelphia, nell’omonima città statunitense, è oggetto di stereotipi negativi – come spesso accade ai quartieri neri – legati soprattutto allo spaccio di droga e alla tossicodipendenza. Il focus del documentario Dear Philadelphia di Renee Osobu è che North Pilly è anche altro, è comunità e perdono, e “some of these people are trying to make it better”. Il cortometraggio ritrae la resilienza della comunità afroamericana, e lo fa in primo luogo affrontando il tema della paternità con le storie di tre padri, Josh, Mel e Dot. Il superamento delle situazioni difficili è reso possibile dall’aiuto della famiglia, degli amici, dall’abbracciare la propria fede: seppur il punto di vista della narrazione è quello dei tre uomini protagonisti e del loro vissuto, quello che ne esce fuori è il respiro collettivo della comunità e l’importanza del perdono e della cooperazione. Dear Philadelphia è un’ode alla speranza raccontata con la dolcezza di una lettera.
Octavia’s Visions, Zara Zandieh (Germania, 2021)

La visionaria autrice afroamericana Octavia E. Butler è stata una pioniera nel genere della fantascienza. Le sue opere, affrontando i temi della diaspora africana e della cultura afroamericana nell’ottica della tecnocultura, sono spesso ascritte al genere dell’Afrofuturismo. Il cortometraggio Octavia’s Visions di Zara Zandieh trae ispirazione da due romanzi di Butler editi a metà degli anni Novanta, Parable of the Sower e Parable of the Talents. Il linguaggio visivo del film, intrecciando le parole di Butler con questioni contemporanee come il cambiamento climatico e l’estremismo di destra, traccia un immaginario utopico e rivoluzionario, con la determinazione che questo sia il momento giusto per la liberazione e il riscatto sociale.
RISE, Barbara Wagner e Benjamin de Burca (Canada/Brasile, 2019)

R.I.S.E. (Reaching Intelligent Souls Everywhere) è un collettivo artistico formato sei anni fa nella periferia di Toronto dal poeta Randell Adjei. Il documentario sperimentale di Barbara Wagner e Benjamin de Burca riprende il gruppo di poeti, rapper, cantanti e musicisti negli spazi sotterranei del nuovo prolungamento della metropolitana di Toronto. Il ritmo e la poesia, il lavoro creativo stesso, stanno alla base della negoziazione, dell’in-betweenness, che questi artisti mettono in atto tra la loro identità di torontoniani di prima o seconda generazione – l’appartenenza diasporica – e quella di coloni.
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