
Notorious – L’amante perduta: Hitchcock e la drammaturgia delle forme
[…] e se Alfred Hitchcock
è stato il solo
poeta maledetto
ad avere successo
è perché è stato
il più grande
creatore di forme
del ventesimo secolo […]
Con queste parole tratte da Historie(s) du cinèma (1988), Jean-Luc Godard coglieva al meglio la duplice anima espressiva di Alfred Hitchcock. Da una parte il successo, ovvero la maniacale attenzione al divertimento del pubblico, alla sua immersione nell’universo di finzione dell’opera; dall’altra un approccio artigianale, minuzioso e più che mai innovativo al linguaggio cinematografico, che rendeva le sue opere molto più complesse e ricche di significato di quanto non fossero in apparenza.
Parlando di “forme”, Godard non vuole riferirsi solamente alle celeberrime tessiture simboliche che permeano il dato visivo dei suoi film – si pensi alle spirali vertiginose di La donna che visse due volte (1958) o alle linee rette e sfreccianti di Intrigo internazionale (1959) – ma piuttosto alla disinvoltura con cui Hitchcock è stato capace di plasmare il linguaggio cinematografico, sondando orizzonti espressivi moderni e mai esplorati.
In particolare, questo rapporto dialettico tra cinema d’intrattenimento e sguardo d’autore che ritorna in tutta la sua filmografia, trova in Notorious – L’amante perduta (1946) il suo esempio più lampante, l’apice e al contempo le fondamenta per concepire la stretta interconnessione che nelle sue opere lega istanza narrante, diegesi e spettatori. notorious hitchcock

È Il settembre 1944 quando Alfred Hitchcock propone a William Dozier della RKO, un soggetto sottopostogli dal sodale David O. Selznick durante le riprese di Io ti Salverò (1945). Parla di una donna costretta a fare da spia per ottenere delle informazioni, di colpe pregresse, spie naziste e bombe atomiche, di amore e di dovere che si impediscono reciprocamente: ecco l’embrione di Notorious – L’amante perduta.
Affascinante e ritmato, illuminato da una fotografia magniloquente, in continuo bilico tra melodramma, commedia sofisticata e spy story, Notorious – L’amante perduta appare al pubblico della prima edizione del Festival di Cannes – la stessa in cui venne presentato Roma Città Aperta (1946) – come un film godibile nella semplicità della sua trama, pienamente incasellato in quella che era l’abitudine formale e narrativa dei grandi titoli dello Studio System.
Diversi anni più tardi, i giovani autori della Nouvelle Vague avranno il merito di sottolineare come Notorious fosse il titolo esemplare per capire come il cineasta Londinese ebbe il merito di attuare una silenziosa ma dirompente decostruzione degli stilemi imposti dal cosiddetto studio look o house style, di aggirare quindi l’omogeneità stilistica dovuta a un impianto produttivo così industrialmente imponente e di successo.

Secondo i giovani Truffaut, Rohmer e Chabrol, Hitchcock era stato capace di sabotare quel cinema dei padri ormai imbalsamato nella confortevole quanto alienante ripetizione degli stessi schemi narrativi e linguistici, ma sotterraneamente, forzandone cioè le convenzioni e i limiti espressivi. In questo senso, Notorious è un film con due anime dialetticamente indissolubili: da una parte quella del thriller di richiamo, incipriato nella sua aurea divistica, ricco di archetipi familiari al grande pubblico e quasi elementare nella fluidità del suo soggetto; dall’altra il film di sperimentazione, l’impianto linguistico coraggiosamente allucinatorio, ambiguo, girovago e intriso di significati simbolici nascosti. notorious hitchcock
E se queste due anime coesistono e – anzi – sono strettamente legate, è perché si imperniano entrambe su uno degli espedienti narrativi più cari al maestro del brivido: la suspense. Essa è da considerarsi da un lato come un elemento atto al coinvolgimento emotivo del pubblico nella narrazione, dall’altro come obiettivo ultimo dell’orchestrazione di movimenti di macchina e montaggio. È in questo modo che la suspense, intesa come gancio tensivo che accalappi l’interesse del pubblico, è l’elemento che fa sì che la materia filmica, in Hitchcock, diventi plasmabile, dilatata ora nei tempi ora negli spazi.
Per Alfred, la suspense non era infatti da delegare allo svolgersi della trama o alla recitazione degli attori, quasi sempre stilizzata se non neutra nella filmografia Hitchcockiana. L’aspetto più innovativo di Notorious risiede proprio nel fatto che l’angoscia martellante che proviamo nel guardarlo è incentrata sulla sapiente e raffinata calibrazione del filmico e della sua superiorità rispetto al profilmico.

Il sapere del pubblico e la sua consapevolezza del pericolo sono sempre maggiori di quella dei personaggi, e questo è possibile grazie alla fluidità di movimento che ha l’istanza narrante all’interno del film tutto. In questo senso, la macchina da presa di Hitchcock è tirannica, gerarchicamente a capo di tutto il racconto, seleziona le porzioni di diegesi su cui lo spettatore deve concentrarsi, condannando a fuoricampo tutto il resto. È in questo modo che Hitchcock riesce a “far camminare” il pubblico all’interno del film, a muoverlo là dove i personaggi si paralizzano, scissi dai loro dubbi morali o dalle loro proiezioni angosciose, un dato rivoluzionario se si pensa all’abituale passività spettatoriale della classicità statunitense del periodo. notorious hitchcock
Ecco che improvvisamente i polverosi principi di leggibilità, gerarchizzazione e drammatizzazione smettevano di essere i veicoli principali per assicurare la partecipazione emotiva dello spettatore al film, senza comunque essere dimenticati del tutto. Il dato visivo di Notorious non temeva di agitarsi intorno ai due laconici protagonisti, di cingerli coi suoi movimenti di macchina, di entrare nelle loro paure più irrazionali e di restituirne la soggettività ubriaca o avvelenata, storta e limitata, oppure di dimenticarsi totalmente di loro per concentrarsi sugli oggetti, le ombre minacciose del fuoricampo, il rischio e il pericolo dietro ad una porta socchiusa.
Ad esempio, nel celebre movimento di macchina che parte dalla cima delle scale per chiosare sul dettaglio oggettuale delle chiavi, nascoste nelle mani di Alicia, la regia mette in atto un procedimento che è al contempo cognitivo (sappiamo che le chiavi sono proprio lì) e selettivo (capiamo che quell’informazione ci servirà).

Non a caso tutta la suspense del film ruota attorno agli oggetti: la chiave e la bottiglia di uranio, ovvero i cosiddetti Mac Guffin. Essi sono di fatto degli oggetti del desiderio, gli obiettivi dei protagonisti; ma sono anche elementi accessori, funzionali al dipanarsi del racconto, fermi alla superficie della narrazione. Il carattere pretestuoso del Mac Guffin chiarisce come la vicenda, i personaggi e le azioni intra-diegetiche in Hitchcock abbiano un’importanza limitata rispetto all’istanza narrante, intesa come veicolo dello sguardo del pubblico.
Nella scena in cui Alicia deve sottrarre al malinconico antagonista le chiavi della cantina, la macchina da presa si muove in una falsa soggettiva che da l’illusione di un movimento del personaggio. Quando il montaggio stacca sul primo piano di Alicia, capiamo che in realtà lei non si è mossa. L’ambiguità di questo passaggio risiede nel fatto che la demiurgica macchina da presa di Hitchcock ha condensato nel suo movimento il desiderio della protagonista di agguantare il mazzo di chiavi, lo stato di suspense del pubblico che, sodale ad Alicia, agogna le chiavi e, infine, lo snodo informativo funzionale alla narrazione (le chiavi sono lì). notorious hitchcock

Notorious, a settantacinque anni di distanza continua ad agitare menti e cuori del pubblico proprio per questo tipo di approccio all’immagine, che fa del film un affascinante terreno di frontiera tra l’interiorità dei personaggi e quella del pubblico. La “drammaturgia delle forme” a cui fanno riferimento Godard, ma soprattutto Rohmer e Chabrol, non è che un ordine simbolico sotteso, fatti di spirali, vortici e rette, ma è anche il ponte di cui il maestro si serviva per fare del film un’esperienza dialettica e partecipata.
In Hitchcock, le maestose carrellate e semi-panoramiche, la simbologie oggettuali e geometriche, i re-cadrages e le inquadrature rifratte, l’onirico di quelle sequenze in cui immagine mentale e cinematografica si compenetrano e annullano a vicenda, non sono quindi meri virtuosismi visionari, bensì la messa in questione di un punto di vista unico sul mondo, il tentativo del racconto di farsi storia stessa.
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