
Caccia alla volpe – I 75 anni de “Lo straniero” di Orson Welles
Lo straniero, terza fatica firmata dal celebre Orson Welles, presentato all’edizione 1947 della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, insieme a Io ti salverò di Alfred Hitchcock, giunge al settantacinquesimo anniversario dalla sua uscita. Questo dramma di genere è un’opera alquanto normativa, da Hollywood classica, all’interno della quale bene e male sono nettamente separati. Il principale nodo narrativo è la caccia ad un esponente di spicco, una vera volpe, della Germania nazista da poco decaduta, un criminale che, proprio come l’abile predatore, è riuscito a scomparire nel nulla.
La struttura del racconto procede attraverso cinque snodi fondamentali, cinque fatti delittuosi, le tappe attraverso le quali quest’anima nera rinnova ancora una volta il processo di corruzione della propria anima. Tutto comincia con la liberazione di Konrad Meinike, alto esponente militare della Germania nazista, da parte delle stesse autorità che lo avevano processato per crimini di guerra. Dietro questa scarcerazione c’è il disegno di Mr. Wilson, un detective il cui intuito gli suggerisce di seguire le tracce di Meinike, perché quasi certamente lo condurranno dal suo vecchio capo militare, il terribile Franz Kindler, la volpe. Il sorvegliato speciale compie un lungo viaggio per arrivare in una cittadina di provincia del Connecticut, Harper.

Harper diviene il luogo simbolo della lotta tra il bene e l’oscurità, dove esiste una comunità ignara che va protetta dai mali del mondo. Il teatro della narrazione ricorda le opere gotiche degli anni Trenta, nelle quali erano proprio villaggi e piccoli centri rurali lo scenario della battaglia tra i diavoli, come Dracula, Frankenstein ecc., e gli eroi positivi incaricati dalla legge di sconfiggerli. Questa storia invece, decisamente ancorata al presente della propria epoca, vede il mostro non più come creatura mitologica, ma come un cittadino qualunque, dietro al quale si può celare un passato inimmaginabile.
Presto il detective Wilson inizia a sospettare che il professor Charles Rankin, interpretato dallo stesso Welles, sia l’identità fittizia assunta da Franz Kindler per ricominciare una nuova vita. Sentendosi braccato, uno spaventato Rankin commette azioni atroci, omicidi non premeditati se non nell’arco di pochi istanti, i quali sono testimonianza della sua scarsa considerazione del valore della vita. Conta solo sopravvivere nell’anonimato, sfuggire al giudizio di chiunque, perché, come esplicitato dallo stesso protagonista: “il tedesco risponde solo a sé stesso”. Personaggio luciferino, quasi un parente del carismatico Harry Lime, altro criminale spietato interpretato sempre da Welles ne Il terzo uomo di Carol Reed. Altro fattore che indica la datazione dell’opera, la quale purtroppo non invecchia bene come Quarto potere (qui un nostro articolo a proposito del film più celebre del regista americano), è la retorica contro la cultura tedesca al di là del regime nazista, come se per la Germania non fosse possibile arrivare ad una forma stabile di democrazia e ricostituire solidi rapporti diplomatici.

Risvegliato in Rankin/Kindler l’istinto di sopravvivenza, la paura di veder vanificati tutti gli sforzi compiuti per essere dimenticato, il male ha il sopravvento. Proprio come i mostri della tradizione gotica, Rankin oramai ha rimosso qualsiasi barriera e la sua sete di sangue lo spinge a tentare di eliminare persino sua moglie, che per amore sarebbe arrivata al punto di non tradirlo. Nel finale, i fili tessuti da Mr. Wilson, detective senza macchia, lontano dal poliziotto hardboiled al quale siamo abituati, si stringono attorno al mostro, presso il grande orologio nel centro della cittadina, il cuore della comunità. Molto interessanti gli elementi simbolici costantemente ripetuti: la caccia alla volpe, una sorta di gioco simile al nascondino con il quale si intrattengono alcuni studenti di Rankin, proprio negli istanti in cui sta uccidendo Meinike; gli orologi, per i quali il protagonista ha un’ossessione, una sorta di metafora del tempo, al quale nessuno può sfuggire. La stessa figura dello straniero, visto per lo più con sospetto dalla comunità di Harper, è un elemento simbolico fortemente presente, testimonianza del timore tipicamente americano coevo di vedere i propri valori messi alla prova, se non addirittura minacciati, da una cultura straniera. Per la volpe la corsa è giunta al termine, ed ha perso.

Nonostante non possa considerarsi un’opera all’altezza de Il processo o L’infernale Quinlan (Peter Bogdanovich ricorda lo stesso regista affermare: “il film era così affrettato, la persona che dirigeva era stata semplicemente chiunque fosse più vicino alla telecamera”), Lo straniero mostra ancora una volta la sapiente costruzione dell’atmosfera angosciosa che caratterizza la prima parte della filmografia di Welles. L’eco della lezione del cinema espressionista tedesco pare la cifra più opportuna per raccontare la discesa negli inferi di Kindler, una sorta di “golem” germanico sfuggito dalle mani di chi l’ha creato. Innovativo l’utilizzo di materiali di repertorio nel racconto dei campi di concentramento nazisti, si tratta di una delle prime opere commerciali ad aver adottato questo criterio formale. Lo straniero può in generale essere apprezzato per la capacità del suo autore di affrontare con successo testi in accordo al clima politico e stilistico del suo tempo, e anche per questo si rivelerà il miglior successo di Welles al botteghino.

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