
Le follie di Mel Brooks – 95 anni per il re della commedia
“Lasciaci in pace Mel Books!” gridano i poveri abitanti del villaggio in preda alle fiamme nelle primissime scene di Robin Hood: Men in Tights (1993), così stanchi di essere tormentati dai titoli di testa che un villeggiante esclama: “Ogni volta che fanno un film su Robin Hood ci bruciano sempre il villaggio!”. Basterebbe questa divertente gag che apre la penultima commedia di Mel Brooks per riassumere la sua poetica e la sua dissacrante vena comica.
La sua carriera nello show buisness copre quasi trent’anni di attività come regista, sceneggiatore, comico nonché come produttore cinematografico e teatrale. Debutta anche a Brodway con il suo primo musical All American (1962) – non riscontrando un grande successo – per poi ritornare sotto i riflettori con la trasposizione teatrale del suo primo lungometraggio The Producers (2001), vincendo diversi premi. A proposito di riconoscimenti, Brooks rientra anche nella categoria di artisti ad aver vinto un EGOT, ovvero aver ricevuto almeno una volta tutte le più grandi onorificenze del mondo dello spettacolo: nel suo caso un Oscar alla migliore sceneggiatura originale (1969), ben quattro Emmy Awards, tre Grammy Awards e tre Tony Awards.

Il Mel Brooks a cui tutti siamo affezionati, però, è senza dubbio quello che ha portato una ventata d’aria fresca al genere comico di fine anni Sessanta, per proseguire con una brillante carriera dietro la macchina da presa, offrendo alcune tra le commedie più interessanti del secolo scorso.
La cosiddetta “comedian comedy” era poco considerata dai registi impegnati a riscrivere la storia di Hollywood negli anni Settanta: forse il pubblico non era ancora pronto a lasciarsi andare a delle grossolane risate in un momento così delicato della storia statunitense. Brooks però si dimostra essere una degna alternativa ai grandi nomi della commedia più intellettuale di quegli anni (si pensi al primo Woody Allen), cimentandosi in un tipo di commedia che erroneamente viene definita “demenziale”, dal momento che Brooks mette in atto una vera e propria dissezione dei miti hollywoodiani: dissacrando i soliti stanchi clichés con la banale potenza della risata e della parodia, crea un’operazione tutt’altro che “leggera”, ma estremamente esilarante e ponderata. Detto questo sembra giusto soffermarci su alcune delle opere più significative del regista, i film che hanno fatto sbellicare dalle risate intere generazioni e altri che purtroppo sono finiti ingiustamente nel dimenticatoio.
The Producers (1968)
Con il suo primo lungometraggio Brooks getta le basi del suo inconfondibile stile: l’aspro umorismo, la complicità di due personaggi al limite della sanità mentale, il velato ma cinico sguardo alla società dello show business contemporaneo, l’inizio del lungo sodalizio con il compianto Gene Wilder e la curiosa onnipresente ossessione con il nazismo. Il film non possiede ancora la classica “follia” brooksiana, l’opera è evidentemente figlia dei tempi, rimanendo (parzialmente) ancorata alla realtà e al presente. The Producers tratta la strampalata vicenda di Max Bialystock (Zero Mostel), uno squattrinato produttore teatrale di Brodway che tramite uno stratagemma finanziario consigliatoli dal contabile Leo Bloom (Gene Wilder) decide di investire su un fiasco accertato: il pietoso musical “Springtime for Hitler” scritto da uno squilibrato nostalgico del Reich, rivelandosi infine un successo. Il film ha tutte le carte in regola per divertire consapevolmente il pubblico; proprio l’irriverenza dei temi – rimandando alla celebre scena madre del numero musicale nazista – e l’acido sarcasmo mettono Brooks sotto i riflettori, tanto da accettare l’idea di rendere il film un vero musical a Brodway e, nel 2005, di portare in sala un remake diretto da Susan Stroman.

Blazing Saddles (1974)
Le grandi parodie di Mel Brooks trovano nel 1974 il loro periodo d’oro: nello stesso anno escono Blazing Saddles e Young Frankenstein, due film che sottolineano il talentuoso approccio cinefilo del regista alla commedia. La prima vittima di Brooks è il genere western, che trova in Blazing Saddles una delle più stravaganti parodie mai realizzate. Il film è un dissacrante mosaico di gags tenute insieme da una sottilissima linea narrativa evidentemente posta in secondo piano rispetto ai tempi comici voluti da Mel. In questo divertente crogiolo di follie spiccano le figure dello sceriffo afroamericano Bart (Cleavon Little) e l’onnipresente Gene Wilder nei panni del pistolero alcolizzato Jim “Waco Kid”. I due sono inseriti all’interno di un apparente classica storia di frontiera: una ferrovia che non si riesce a costruire a causa della presenza di sabbie mobili, il ricco proprietario terriero che vuole speculare sulla nuova tratta spaventando gli abitanti di una piccola città e l’elezione dell’eroico sceriffo per difendere il paesino e ristabilire l’ordine. Tutto ciò mescolato ad un’esilarante esclation di eventi assurdi e improbabili che finiscono per annullare la trama, trascinando il film verso un rocambolesco finale in cui anche il musical alla Busby Berkeley finisce sotto le grinfie del regista.

Young Frankenstein (1974)
La figura di Mel Brooks è, per la maggioranza, riconducibile a quella del regista di Young Frankenstein, suo film più maturo e sicuramente quello di maggior successo. Questa volta il regista, dopo il grande successo della sua parodia western, si getta a capofitto sul genere horror, in particolare con uno sguardo rivolto alla cosiddetta “golden age of monsters” dove l’Universal, agli inizi deli anni ’30, possedeva il monopolio della produzione hollywoodiana di film dell’orrore. Il mostro ad essere preso di mira è la creatura del dottor Frankenstein (o Frankenstin) e la sua celeberrima storia, per sfociare in un pastiche che tira in ballo anche il film King Kong (1933) nella splendida citazione del finale. Il film questa volta non presenta un’accozzaglia di gags che eccedono dal contesto narrativo, anzi, la storia narrata da Brooks non fa acqua da nessuna parte, abilissimo nel costruire narrativamente il film e a dettare i tempi comici senza farli strabordare. Il “finto” bianco e nero accoglie le bizzarrie della solita coppia “scoppiata” composta ora da Gene Wilder nei panni del dottore e dall’irresistibile Marty Feldman nei panni del suo fidato collaboratore Igor. La pellicola è un’ennesima dimostrazione del genio di Brooks nel rielaborare la storia del cinema hollywoodiano decostruendola con l’immancabile gusto della gag e della risata grazie a cui, senza troppi fronzoli intellettualistici, offre uno spettacolo esilarante nella sua semplicità e nella sua cinefilia sovversiva.

High Anxiety (1977)
Certi film di Mel Brooks non hanno avuto purtroppo l’attenzione che avrebbero meritato, uno di questi è sicuramente High Anxiety. Il film, più che una satira – a volte un po’ forzata – è un tenero omaggio alla filmografia di Alfred Hitchcock: il regista newyorkese non si tira indietro dalla tentazione di parodizzare un’altra pietra miliare del cinema statunitense come il genere thriller riempiendo la pellicola di evidenti omaggi ai suoi film quali Vertigo (1958), North by Northwest (1958), Psycho (1960) e The Birds (1963). Alcuni grandi nomi della critica come Roger Ebert e Pauline Kael hanno notato come questo tipo di satira non funziona pienamente dal momento che i film di Hitchcock contengono già dei piccoli elementi satirici intrinsechi alle pieghe dei suoi film. Il maestro della suspense però non la pensa così, tanto da assistere ad una proiezione della pellicola assieme allo stesso Brooks per poi regalargli, qualche giorno dopo, una cassa piena di ottimi vini francesi con tanto di biglietto di apprezzamento per il film firmato “Hitch”. Con i suoi piccoli difetti High Anxiety ripresenta ancora i tipici tratti stilistici del cinema di Mel, recitando egli stesso nei panni del protagonista, il dott. Richard Thorndyke. Oltre ad alcune gag ricorrenti perfettamente congeniate, il film presenta ancora una volta quella sottile vena critica indirizzata questa volta al blando e superficiale approccio psicanalitico dei registi hollywoodiani (il cosidetto “one dollar Freud approach”) e la passione per il musical – una costante di Brooks – materializzata nella bellissima performance del brano High Anxiety, scritto e musicato da lui stesso.

Il talento di Mel Brooks non si esaurisce solamente nei film sopracitati, la sua carriera è costellata da un susseguirsi di idee brillanti che si riversano in film meno sentiti dal pubblico – ma non dalla critica – come Silent Movie (1976), geniale parodia dei film muti che vede la presenza di grandi star quali Paul Newman, Bart Reynolds, Liza Minelli e Anne Bancroft (sua compagna nella vita privata). Altre pellicole, invece hanno fatto storcere il naso alla critica riscontrando, nonostante tutto, un grande successo al botteghino: pensiamo quindi History of the World, Part I (1981), dove la voce di un certo Orson Welles narra le più importanti gesta dell’umanità attraverso irresistibili gags e onnipresenti numeri di ballo. Per concludere infine con le opere più recenti come la splendida satira di Guerre Stellari Spaceballs (1987), un altro grande successo della critica e al botteghino. La genialità di Brooks risiede proprio nel comprendere a fondo la vera essenza dello show business guardandolo dall’esterno, il regista e showman non si è mai fatto particolari problemi a portare alla luce i meccanismi della macchina hollywoodiana ricorrendo all’arma più dissacrante e irriverente possibile, ovvero la satira.
In Mel we Trust!

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