
Bussando ai cancelli del cielo – Il cinema di Michael Cimino
Accostarsi all’opera di Michael Cimino (regista forse inattuale eppure così necessario), scriverne, tentare di discernere in quella fitta selva di immagini storie e contraddizioni è impresa da far tremare i polsi. Come ebbe a dire Enrico Ghezzi, il suo cinema “è lo spalancarsi di un abisso mitico, uno sconfinamento dal territorio stesso del cinema”. Tra ambizioni impossibili, il campo lungo fordiano, disastri von-stroheimiani e il classico sublime di Howard Hawks; e una simmetria, un eleganza quasi viscontiana a tenere insieme il tutto.
Possa la bellezza essere davanti a me/ Possa la bellezza essere dietro di me
Possa la bellezza essere sopra di me/ Possa la bellezza essere sotto di me
Possa la bellezza essere intorno a me.
(Verso il Sole)

Cimino, diciamolo subito, non rientra nella categoria degli innovatori della New Hollywood, in grado di cambiare un intera industria. I Lucas, i Coppola, gli Scorsese. È l’ultimo degli ultimi. Colui che conclusa la sua epopea filmica ha spento la luce e chiuso la porta di un intero modo di fare cinema, che forse già non c’era più al momento del suo debutto. Un cinema di cui oggi si può trovare qualche ultimo frammento nell’opera di Clint Eastwood, che fu suo primo scopritore. Un cinema utopico che formalmente guardava al passato, anche il più remoto, ma rimanendo intimamente connesso con la storia del suo tempo. Quella di un Paese in perenne lotta con sé stesso, delle sue genti, della grande ferita americana di cui più volte il regista ha fatto ricognizione.
Il Cacciatore e I Cancelli del Cielo sono due esempi emblematici. Due film immensi, quasi impossibili da raccontare senza che qualcosa vada perduto, e che si stagliano all’interno della cinematografia con la forza e il mistero del monolite kubrickiano. Parlano una lingua affine a quella di un altro americano: Herman Melville. Come Moby Dick che sa essere romanzo, Bibbia, dramma shakespeariano, trattato di baleneria, anche i film di Cimino contengono mondi. Entrambi gli artisti sono votati al naufragio, al cesellamento e alla costruzione di opere titaniche che fanno già parte del mito. Il regista di New York all’altezza de I Cancelli del Cielo si trasforma davvero nel capitano Achab. Alla ricerca della bianca balena che splende in lontananza, come luna precipitata a increspare le acque dell’oceano. Pronto a tutto anche al fallimento e all’ostracismo pur di realizzare il suo film.

Quello che mi preme però raccontare in queste poche righe sono l’alfa e l’omega della sua opera. I due abissi apicali. Una Calibro 20 per lo Specialista e soprattutto Verso il Sole. Due film all’apparenza piccoli, dissimili eppure speculari, che sanno raccontare come pochi quella bugia che si chiama(va) Sogno Americano. Nel primo si può trovare già iscritto a chiare lettere tutto ciò che seguirà. Le grandi praterie e i canyon dello sterminato panorama statunitense, l’innocenza tradita e il risveglio dal Sogno che può rispecchiarsi anche in un futuro di morte. L’amicizia tra un veterano che vive di espedienti, Clint Eastwood, e un giovanissimo Jeff Bridges creerà un inaspettato connubio per finalizzare uno dei colpi più importanti mai messi a segno, insieme alla vecchia banda del primo.
Verso il Sole è invece opera terminale di una vita e di un modo di fare cinema, come si diceva all’inizio. È la storia di Blue, giovane navajo malato terminale di cancro che rapisce il medico che lo ha in cura per raggiungere un lago dalle proprietà terapeutiche, accanto alle montagne sacre. Sin dalle prime immagini si avverte, per dirla con le parole di Wordsworth, “che una gloriosa luce è svanita dalla terra”, che tutto si sta corrompendo cadendo in pezzi. Cimino filma una fuga impossibile, una racconto di redenzione e speranza, alla ricerca di qualcosa che sembra irrimediabilmente perduto ma che forse non è mai sparito. Solo dimenticato tra le pieghe e gli interstizi del convulso vivere odierno. La vicinanza tra i due protagonisti, a contatto con una natura selvaggia e salvifica, chiarirà i ruoli e dischiuderà l’intima sostanza di cui sono intessute le proprie anime.

Verso la fine della pellicola, il cinema stesso di Cimino si fa carne e, insieme al suo protagonista, Blue, solca l’ultima tappa dell’esistenza verso un altrove non filmabile. Un altrove dove anima e corpo bruciano, in attesa della verità.
Ma è un vento dolce oggi / E un cielo dolcissimo
E l’aria odora come se spirasse da prati lontani.
Vinicio Capossela – I Fuochi Fatui (testo liberamente tratto da Moby Dick di Herman Melville)
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