
6 frasi che ci hanno fatto innamorare di Dale Cooper
Kyle MacLachlan compie oggi 62 anni, e non ce ne vorrà se ancora una volta omaggiamo il personaggio più celebre che ha incarnato nel corso della sua carriera: l’agente speciale Dale Cooper. La scrittura di Twin Peaks è un pendolo che si muove continuamente tra l’iconico e il criptico, talvolta proponendo un mix dei due elementi proprio nei dialoghi più apparentemente triviali. Cooper è un personaggio universalmente amato, il principale punto di riferimento del pubblico delle prime due stagioni della serie e il grande vuoto (che tuttavia si manifesta proprio in absentia) della terza. Proviamo ad abbozzarne un ritratto a partire dai discorsi che più sono rimasti impressi nella memoria collettiva, dalle frasi che contribuiscono a delinearne il carattere e a generare una serie di tópoi essenziali nel renderlo il personaggio iconico che conosciamo. Ovviamente, da qui in poi saranno presenti *spoiler*.
1X01 – “Northwest Passage”

«Diane, 11:30 AM, February 24th. Entering the town of Twin Peaks, five miles south of the Canadian border, twelve miles west of the state line. I’ve never seen so many trees in my life. As W. C. Fields would say, I’d rather be here than Philadelphia. Fifty-four degrees on a slightly overcast day. Weatherman said rain. If you could get paid that kind of money for being wrong sixty percent of the time, it’d beat working. Mileage is seventy-nine three thousand hundred forty-five, gauge is on reserve, riding on fumes here, I’ve got to tank up when I get into town. Remind me to tell you how much that is. Lunch was, uh, six dollars and thirty-one cents at the Lamplighter Inn, that’s on Highway Two near Lewis Fork. That was a tuna fish sandwich on whole wheat, slice of cherry pie, and a cup of coffee. Damn good food.»
Nella semplicità di un’inquadratura fissa su un soggetto che parla può manifestarsi un intero modo di essere. Un simile miracolo avviene nel pilot della serie, dove la presentazione di Cooper è affidata a un suo monologo (o, per meglio dire, un soliloquio) al registratore mentre sta per entrare a Twin Peaks. È facile scorgere tra le righe un che di logorroico, nella precisione non comune con cui Cooper riporta una serie di dati apparentemente insignificanti. Ci troviamo dinnanzi a una persona puntigliosa, dotata di un incredibile spirito di osservazione e catalogazione, capace di esercitare una forma di controllo razionale non comune sulle situazioni. La perfetta incarnazione di un agente speciale dell’FBI, con un tocco di stranezza che per ora possiamo soltanto intuire.
1X02 – “Traces to nowhere”

«You know, this is — excuse me — a damn fine cup of coffee! I’ve had I can’t tell you how many cups of coffee in my life and this, this is one of the best. Now, I’d like two eggs, over hard. I know, don’t tell me; it’s hard on the arteries, but old habits die hard — just about as hard as I want those eggs. Bacon, super-crispy. Almost burned. Cremated. That’s great. And, I’ll have the grapefruit juice, just as long as those grapefruits are freshly squeezed.»
È nel secondo episodio che si disvela pienamente uno dei leitmotive più celebri della serie, ossia l’amore smodato, l’ossessione quasi feticistica di Cooper per il caffè. «A damn fine cup of coffee» è ormai un’espressione che viene stampata su magliette e tazze per la colazione, spesso corredata da una citazione di qualche episodio più tarda, sempre riferita al caffè, «black as midnight on a moonless night». La bevanda non ha una funzione meramente ornamentale, poiché rivestirà un ruolo cruciale a livello narrativo nella terza stagione: è uno degli elementi evocativi che collegano Dougie al “vero” Cooper, una sorta di ancora alla realtà terrena. Ma non è tutto: da questo breve monologo traspare un umorismo discreto e misurato, un gusto per i giochi di parole e un atteggiamento di riguardo nei confronti dell’interlocutore che vede Cooper scusarsi perfino per un rafforzativo come «damn», da tempo non più considerato una parolaccia. Un piccolo dettaglio che può dirci molto sull’integrità morale talvolta ai limiti del caricaturale del protagonista (da ricordare, in questo senso, ciò che dirà nel settimo episodio di fronte ad Audrey, pronta ad abbandonarsi a lui: «What I want and what I need are two different things»).
1X03 – “Zen, or the skill to catch a killer”

«Following a dream I had three years ago, I have become deeply moved by the plight of the Tibetan people, and have been filled with a desire to help them. I also awoke from the same dream realizing that I had subconsciously gained knowledge of a deductive technique, involving mind-body coordination operating hand-in-hand with the deepest level of intuition.»
È qui che il pubblico e gli abitanti di Twin Peaks si accorgono per la prima volta che Cooper non è un agente qualsiasi. Il suo metodo di indagine è tanto scientifico e razionale quanto mistico e intuitivo. Se per risolvere un caso di omicidio non bastano le tecniche tradizionali, nelle quali la coscienza della veglia è trasparente a sé stessa, bisogna allora «seguire un sogno», calarsi appieno nel ruolo di onironauta e lasciarsi trasportare nel proprio subconscio. La professione d’amore di David Lynch verso il buddismo, i sogni, le pratiche meditative e la spiritualità si fa esplicita per mezzo delle parole del suo protagonista. La reazione dello spettatore a tutto ciò sembra quella di chi sta ascoltando Cooper nella scena; si situa a metà tra la curiosità e il completo spiazzamento. Da un lato la figura virtuosa e risoluta di Cooper ci ispira naturalmente fiducia, dall’altro non siamo ancora abbastanza certi di non trovarci di fronte a un completo ciarlatano.
1X07 – “Realization Time”

«Harry, I’m going to let you in on a little secret. Every day, once a day, give yourself a present. Don’t plan it, don’t wait for it, just let it happen. It could be a new shirt at the men’s store, a catnap in your office chair or two cups of good hot black coffee. Like this.»
Ritorna il caffè, ma questa volta è semplicemente un pretesto per far passare un messaggio di più ampia portata, un carpe diem cooperiano. Questa è una delle tante citazioni che Coop sembra attingere dal buonsenso popolare, non per niente viene spacciata allo Sceriffo Truman come un «piccolo segreto», una pillola di saggezza, sfoderata con un tempismo ridicolmente perfetto (e vi risparmiamo la successiva «there’s nothing quite like urinating out in the open air»). In essa si legge un atteggiamento leggero e autoindulgente con cui affrontare la vita e le sue avversità: siamo noi i primi responsabili del nostro benessere. È questo tipo di messaggi che ci convince a simpatizzare con la visione del mondo di Cooper e a considerarlo come una sorta di guru fuori dagli schemi, un paradosso visto il ruolo che ricopre in una delle istituzioni meno libertarie che esistano.
2X09 – “Arbitrary Law”

«The time has come for you to seek the Path. Your soul has set you face to face before the clear light … and now you are about to experience it in its reality, wherein all things are like the void and cloudless sky, and the naked, spotless intellect is like a transparent vacuum, without circumference or centre… At this moment, know yourself and abide in that state. Look to the light, Leland. Find the light.»
Facciamo un salto nella seconda stagione per arrivare a uno dei momenti più emotivamente carichi dell’intera serie; la morte di un reo confesso Leland. La scena si svolge in una cella di prigione, sferzata da una pioggia metaforica che non proviene dal cielo ma dal sistema anti-incendio della caserma. La cornice compositiva ricorda quella della Pietà michelangiolesca, con la testa di Leland – tremante, piangente e moribondo – adagiata sul grembo di Cooper. Le parole escono dalla bocca dell’agente con una naturalezza sconvolgente, in una sorta di estrema unzione misticheggiante e dalle reminiscenze vagamente buddiste. La voce è ferma e decisa, il tono solenne, evocativo e rassicurante; Cooper è calato con empatia nel dramma della situazione e a un tempo lo trascende. Da questo momento in avanti, capiamo di trovarci di fronte a un’anima capace di attraversare veramente le frontiere tra i mondi – spirituale e terreno, onirico e della veglia – requisito essenziale per penetrare fino in fondo nel mistero di Twin Peaks.
3X16 – “Part 16”

– «What about the FBI?»
– «I am the FBI.»
Non possiamo esimerci, infine, da un’incursione nella terza stagione, facendo riferimento proprio al momento più atteso e strenuamente rimandato, quello del ritorno di Cooper dalla Loggia Nera alla realtà che conosciamo. Dopo venticinque anni e sedici episodi in cui abbiamo avuto solo degli sprazzi muti dell’agente che tentava di ritornare alla nostra dimensione, bastano quattro parole e un sorriso rassicurante per riportare alla mente la sagacia e la bontà del vero Dale Cooper. La sensazione che ha avvolto il pubblico che l’ha conosciuto e amato nelle prime due stagioni è quella di un sollievo collettivo, un conforto, una boccata di aria fresca. La precedente assenza delle sue frasi iconiche e piene di spirito è sopperita da questo semplice e quasi surreale scambio di battute, che certifica in maniera meta-seriale un assunto ben preciso: Dale Cooper è più di un personaggio. Egli è un simbolo, un’istituzione, una pietra di paragone per la virtù, un monumento incarnato al principio di positività che c’è nel mondo (e infatti il suo contraltare, il principio di negatività, non può che essere il suo doppelgänger, l’esatto rovescio della medaglia). Dal verboso monologo con cui l’abbiamo conosciuto a questa comparsa fugace in cui ogni parola sembra pesare eeenormemente, Dale Cooper è riuscito a imprimersi con gentilezza nella nostra mente di spettatori seriali.
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