
Il film di Henry Blake sulle County Lines – I confini della perdita
Quando gli viene chiesto se conosca il significato della locuzione “perdita accettabile”, Tyler non sa rispondere e preferisce tenere d’occhio le notifiche sul suo cellulare che squillano costanti durante la seduta con la sua psicoterapeuta scolastica. Con County Lines, il film di Henry Blake – presentato in concorso al Festival del Cinema Europeo, dopo l’anteprima mondiale al Festival del Cinema di Londra nel 2019 – entriamo nelle vite dei giovani corrieri della droga, lambendo le regioni di confine del Regno Unito. Blake non ci porta in qualche quartiere del sud America, né a ridosso di qualche acclarato cartello del narcotraffico, ma in uno dei baluardi della vecchia Europa, nella sua Inghilterra, disvelando piaghe di cui, con ogni probabilità, le politiche sociali fanno a meno di interessarsi.
Siamo nell’East London, in una scuola per adolescenti in aria di criminalità. Ragazzi inquieti e costretti a sperimentare la tensione di una perpetua instabilità, tara di cui hanno il peso dalla nascita, scandita da guerre tra bande o tentate rivalse individuali. Tra questi, isolato e pallido come la sua paura, avanza il quattordicenne Tyler (Conrad Khan), vittima di bullismo e figlio maggiore di una donna altrettanto sola, Toni (Ashley Madekwe). Le County Lines che il film di Blake ci racconta, dopo un’esperienza diretta con i ragazzi che abitano queste aree degradate, offrono una spietata riflessione sulla condizione umana di alcune vite esposte al paradosso e all’angoscia e da cui si può uscire illesi difficilmente. I suoi personaggi si rivelano simboli della stessa contraddizione sociale di cui sono imbevuti e carichi, al contempo, di vitalismo e autodistruzione, come Simon che interviene a favore di Tyler durante un’aggressione, con l’intenzione sottesa di “reclutarlo” tra le fila dei corrieri della droga.
La storia avanza intrecciando al disagio sociale, rappresentato dalla scuola scenario di sopraffazione, dagli edifici in abbandono del quartiere, dagli interni delle case indigenti, dai pasti frugali consumati su divani logori, la rassegnazione alla mediocrità attraverso personaggi sommessi. Tra questi emerge Toni che vive con apparente distacco la sua vita di madre sola e di cameriera di un albergo, licenziata in tronco in seguito ad una distrazione. Blake ci mostra che non sono ammessi sbagli in queste esistenze, se non al prezzo di gravi perdite, uniche vere protagoniste della narrazione. È da qui infatti che la vita del giovanissimo Tyler subisce un’impennata verso la distruzione, nella spirale dell’unico destino che, fin da subito, sembra esserci. Il ragazzo, pressato dall’esigenza di riscatto economico e sociale e dall’ingombrante senso di responsabilità di unico “uomo di casa”, accetta la proposta di Simon di diventare un corriere della droga. L’assenza di alternative possibili decretano la sua discesa nel degrado, tra tossicodipendenti e altri ragazzini assoldati come lui, per navigare le rotte con la droga in corpo e determinano un’inevitabile trasformazione. Tyler, [spoiler] da figlio e fratello premuroso si trasforma in uno dei ragazzi del giro di Jim, gestito dal terribile Sadiq; rinuncia alla scuola, al suo mentore e all’amico di famiglia Laurence, finisce per accarezzare la bestia nera che ha dentro arrivando ad aggredire la madre che, avendolo ormai scoperto, gli chiede di confessare le sue attività.
Precipitando tra violenza e minaccia, si distinguono sempre di più due direttrici fondamentali: il senso perenne di mancanza, che fa da propulsore dell’azione dei suoi protagonisti; e la perdita, unica conseguenza a cui questa deriva approda. Si ritorna nuovamente alla scena in cui la psicologa della scuola chiede a Tyler se conosce il significato della “perdita accettabile”, questa volta completando l’accezione mutuata dal formulario marziale, che si riferisce a «i quantitativi di vittime ritenute tollerabili», ovvero a perdite che hanno però comportato una vittoria. La spiegazione didascalica diviene, a questo punto, la provocazione finale con cui Blake esplicita i suoi intenti. Il suo film non si limita a realizzare un lungometraggio tra finzione e documentazione del reale, né a far da delatore di una ferita sociale, sembra più interessato a provocare una reazione. Senza moralismi narrativi e contenutistici quella di Blake è un’opera sulla possibilità. Allo spettatore, così come alla madre di Tyler, ciò che rimane non è solo il tormentato dubbio su ciò che si può accettare entro i confini della “perdita”, ma anche la sensazione che di questa sorte si abbia una responsabilità diretta e mai del tutto irreversibile.

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