
La Tosse a Villa Galliera – Storie di spiriti, fantasmi e tavolini
La programmazione estiva del Teatro della Tosse si conclude con lo spettacolo Storie di spiriti, fantasime e tavolini, in scena fino al 9 agosto nel meraviglioso parco della Villa Duchessa di Galliera di Genova Voltri, candidato per il 2020 come Luogo del cuore dal FAI.

Lo storico parco della benefattrice, una delle più grandi genovesi di tutti i tempi, si rivela lo scenario perfetto per vivere un’esperienza teatrale dal sapore antico. Lo spettacolo – di Luigi Ferrando, Alessandro Bergallo ed Emanuele Conte, che firma anche la regia – diventa un momento di raccoglimento collettivo, itinerante, in cui sfumano i confini tra il vero e il falso, come intorno a un grande tavolino medianico.
Divisi in piccoli gruppi, nel pieno rispetto delle regole di distanziamento (questione di vita o di morte!), gli spettatori vengono accompagnati a incontrare spiriti di donne e di uomini. Le loro vicende stanno tra la vita e la morte, la storia e la fantasia, il presente e il passato, lo spiritismo e la psicanalisi, mostrando come davvero possa essere labile il confine tra gli opposti. L’irriducibile scontro tra ragione e irrazionalità sembra quasi annullarsi per lasciar spazio a nuove indagini. Le due polarità, invece che duellanti, si scoprono alleate.

Il termine fantasma deriva dal greco fàntasma, a sua volta da fantàzo «mostrare» e fantàzomai «apparire». Il fantasma è dunque un’apparizione che mostra qualcosa, che rivela a chi è ancora in vita ciò che non è visibile o che, per paura, viene continuamente rimosso. Ma cos’è che fa più paura? Quello che capiamo o quello che non capiamo? Quello che si vede e non si vuole accettare o quello che non si vede? La serie di incontri fantasmatici ci spinge a chiederci cosa siano le paure e quali sembianze assumano.
L’incontro con i fantasmi è l’occasione per esplorare figure, temi e registri teatrali diversi. Dal fantasma di un insolito Freud (Enrico Campanati), assediato lui stesso da scricchiolii inquietanti, fino a quello della esuberante medium napoletana Eusapia Palladino (Sarah Pesca), fiera di aver incantato coi suoi trucchi anche le menti scientifiche più promettenti di fine ‘800. Si incontrano però anche personaggi dal forte valore simbolico che incarnano volti e problemi anonimi, fuori dal tempo perché da sempre propri del genere umano.

I toni si fanno più cupi e seri quando si incontra la storia di una donna che rivela la tragicità della nostra contemporaneità. L’attrice, Susanna Gozzetti, per l’abilità della sua interpretazione e l’ambiguità della sua narrazione, cattura fortemente l’attenzione e la curiosità dello spettatore. «Il buio è dolce, ammorbidisce i contorni delle cose», dichiara la donna seminascosta dietro antiche tende di pizzo, suggerendo come talvolta sia proprio l’oscurità a rendere il tutto più sopportabile, più assimilabile.
Ma questo personaggio non è l’unico riferimento al tempo presente e al nostro immediato e insolito passato da cui, seppur faticosamente, stiamo uscendo auspicando a un futuro migliore. I diversi accenni al nostro tempo – e allo spettatore stesso, più volte chiamato in causa – si trovano disseminati sapientemente, senza imporre brusche forzature a una narrazione che rimane comunque molto intima, o meglio, intimistica.
Divertente e ben riuscito è poi il comico incontro con Don Annibale (interpretato da Graziano Sirressi), fedele ricalco dell’omonimo personaggio di Eduardo De Filippo in Fantasmi a Roma, ma nella variante attualizzata (e regionalizzata) del custode della villa della Brignole Sale.

Per quanto riguarda l’allestimento scenografico (a cura di Emanuele Conte con l’assistenza di Renza Tarantino), risulta efficace il tentativo di ricreare un’atmosfera da primi ‘900. La presenza di tavoli e tavolini di diverse forme e fatture, su cui si ergono alcune attrici, permette di giocare con le prospettive di osservazione. Tuttavia, la bellezza della villa e la maestosità del suo giardino sono tali da oscurare qualunque arredo aggiuntivo.
Contro ogni previsione, la distanza imposta alla socialità favorisce una vicinanza maggiore tra corpo dell’attore e corpo dello spettatore, permettendo un rapporto intimo e inedito tra i due. Il risultato amplifica la sensazione di coinvolgimento, permettendo allo spettatore – vicino e soprattutto visibile – un vero scambio visuale con l’attore.
Come prima dell’invenzione dei teatri come luoghi adibiti all’azione teatrale, il teatro, indifeso, torna a vivere nello spazio pubblico della città, mettendo ulteriormente alla prova gli attori. Lontano dalla realtà isolata e inscatolata della sala teatrale, in cui tutto è pensato perché la performance si svolga al riparo da ogni distrazione, qui l’attore deve invece fare i conti con la realtà varia e imprevedibile della città che continua a vivere, incurante del rito sociale che sta ospitando.

Nello splendido giardino, gli attori devono riuscire costantemente a catturare lo sguardo e l’attenzione del pubblico. Oltre alla bellezza del luogo, diversi suoni possono attirare la nostra attenzione tra un fantasma e l’altro. Il fruscio del vento tra gli alberi, il gracidare delle rane, il suono lontano delle campane e, con un po’ di fortuna, anche una leggera pioggerellina che rinfresca l’aria. Ma l’irruzione della città col suo respiro è, per fortuna, parte di questo gioco, in cui, una volta di più «il vero è un momento del falso», per dirla con Guy Debord.
L’impegno e il coinvolgimento di attori e spettatori sono dunque raddoppiati, restituendo però un’esperienza tanto più bella quanto più “impegnativa”. Storie di spiriti, fantasime e tavolini chiama così a riappropriarci attraverso l’azione scenica dello spazio pubblico e, attraverso di esso, del nostro ruolo di spettatori e cittadini. Ci invita, insieme agli attori, a essere custodi – perché agenti – di uno spazio della cittadinanza normalmente non pensato per il teatro.
È quindi bello e lodevole vedere come, nonostante molti teatri restino ancora chiusi o semivuoti, i nuovi obblighi imposti al settore culturale permettano di ripensare lo spazio urbano, permettendo di operare con fantasia e, come si dice, di fare davvero di necessità virtù. L’augurio per il futuro è che le strade che si stanno tracciando per ripensare un teatro possibile non rimangano solo strade di cantiere provvisorie, ma possano diventare con successo nuove vie alternative percorribili e ampliabili anche in futuro. Finora, il Teatro della Tosse ha imboccato un’ottima strada.
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