
L’immagine della madre nella filmografia di Penelope Cruz
«Diventare mamma cambia tutto». Queste le parole di Penelope Cruz rilasciate ad un’intervista (qui) per Vanity Fair, che aiutano a riflettere sull’importanza del personaggio della madre nella filmografia dell’attrice spagnola. A breve distanza dal giorno del quarantaseiesimo compleanno (28 aprile), vogliamo ripercorrere alcuni momenti salienti della sua carriera che possono dare conto della centralità che il personaggio della madre ha nella recitazione della Cruz.
Un primo ruolo significativo in tal senso è quello di Maria in Per amore, solo per amore (1993). Una giovanissima attrice (la Cruz aveva allora 19 anni) riveste il ruolo della madre per antonomasia nella cultura cattolico-occidentale. Sebbene il vero protagonista, punto di vista attraverso cui viene filtrata la vicenda, sia Giuseppe (Diego Abatantuono), Maria non è attrice passiva di un dramma divino. Appare fin da subito risoluta nella fermezza della sua calma, personaggio attivo che opera con forza le sue scelte per adempiere al volere di Dio fino a divenire madre.
A cinque anni di distanza da Per amore, solo per amore, compare nei panni di Rosa in Tutto su mia madre (1999). Se il titolo della pellicola di Almodóvar rivela eloquentemente la centralità del ruolo della figura materna (a conti fatti compaiono ben tre madri), quella impersonata dall’attrice è una madre in “odor di santità”: lo sguardo afflitto, la voce calma e piana, la tendenza a restringere fisicamente la sua presenza sulla scena (la figura di Rosa appare sempre minuta ed esigua in tutte le sue inquadrature), sono dati perspicui di questo abbandono di sé per la realizzazione di un bene percepito superiore, la nascita di una nuova vita.
La rappresentazione di una madre che dona sé stessa per adempiere ad un imperativo spirituale interessa anche Magda di Ma ma – Tutto andrà bene (2015). Dopo la diagnosi di un tumore che, sebbene gli ottimi pronostici, si rivelerà inguaribile, Magda si trova a dover portare avanti una difficile gravidanza conscia del fatto che non potrà vedere crescere sua figlia, ma spinta dal desiderio di metterla al mondo e di poterla guardare negli occhi almeno una volta, procede risoluta nel suo cammino. Magda non è Maria, della quale può essere considerata quasi un corrispettivo laico, e non ha la rassegnazione di Rosa: ella è la madre più vicina ad un’immagine di semplice quotidianità che porta avanti la sua decisione di dare la vita per una vita. Toccante in tal senso la scena in cui, a pochi attimi dalla fine, lo spettatore vede da un punto di vista privilegiato, dall’interno del suo corpo, il cuore di Magda battere un’ultima volta, sentendo fuori campo la voce della donna che gioisce nell’osservare il volto della neonata, battezzata significativamente Natasha (nome che significa, per l’appunto, “nascita”).
Lungo la carriera della Cruz, figure materne profondamente suggestive e sotto certi aspetti più complesse sono quelle di Non ti muovere (2004) e Venuto al mondo (2012), film entrambi tratti dalle omonime opere di Margaret Mazzantini. Italia, la protagonista di Non ti muovere, è una giovane e umile ragazza, la quale nella sua vita non ha conosciuto altro che la violenza, ed è proprio a causa di un atto di violenza sessuale che rimarrà incinta. Italia è madre mancata per sua scelta: sceglierà infatti di abortire, ma morirà a causa di una setticemia, complicazione dell’intervento mal compiuto. Due vite che si spengono nell’insignificanza di un esistenza che non trova una realizzazione, forse solo un infimo sfogo in un grido quale, per esempio, quello di Italia al momento di abbandonare la sua misera abitazione. In Venuto al mondo Penelope Cruz è Gemma, madre che, nonostante la sua sterilità, attraverso una problematica maternità surrogata è riuscita ad avere un figlio. La bellezza di Italia e Gemma sta anche nell’incrinare un quadro che poteva apparire stucchevolmente idilliaco: lungo la sua carriera la Cruz ha avuto modo di impersonare figure materne complesse, non per forza lineari nel loro procedere, ma che posseggono, anche nel loro essere madri mancate come Italia, una forza poeticamente rappresentata nel loro dolore.
Indubbiamente, non può essere dimenticata la più recente madre a cui la Cruz ha dato corpo e voce in Dolor y gloria: Jacinta, madre di Salvador, una complessa maschera autobiografica del regista Pedro Almodóvar. Come in un cerchio origine e fine si incontrano e, come Maria nella pellicola del 1993, così in questo recentissimo lavoro, siamo di fronte ad una madre risoluta, ferma nelle sue decisioni, ma inevitabilmente non più avvolta in un alone di santità; Jacinta è testarda, dotata di una forza che la muove quasi ciecamente nel voler garantire al figlio quel riscatto sociale per lei negato. Ella è in fondo l’essenza stesa del dolore e della gloria del titolo, sentimenti che il comportamento del suo personaggio ha cuciti a sé a filo doppio nel suo modo di agire.
Laura in Tutti lo sanno (2018), Raimunda di Volver – Tornare (2006), Jessica (un cameo dell’attrice) in Gli amanti passeggeri (2013), tutte sono madri degne di nota nella filmografia dell’attrice, madri che agiscono secondo sentimenti polivalenti messi in scena da Penelope Cruz nel corso di una carriera quasi trentennale. In un panorama così composito per caratterizzazione psicologica, c’è un tratto comune che riesce ad avvicinare anche le più lontane, quali una Rosa e una Italia: il sorriso con cui, anche in punto di morte (vedi Magda), si consegnano alla vita, emblema di un percorso compiuto, attraverso un atto di profondo cambiamento, poiché: «Diventare mamma cambia tutto».
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