
The Mandalorian – Capitolo VIII – La recensione
Arriva finalmente sui nostri schermi il Capitolo 8: Redemption, e con esso la conclusione di questa prima attesissima stagione di The Mandalorian. Il season finale mantiene l’alto livello dell’episodio precedente, facendoci dimenticare i passi falsi di alcuni degli episodi centrali, che, pur non essendo niente di imperdonabile per una serie appena iniziata, potevano far pensare che il Mandaloriano avesse esaurito, già nei primi riusciti capitoli, le carte da giocare.
The Reckoning si chiudeva con un tragico cliffhanger: Kuill ucciso dagli Imperiali, Baby Yoda catturato e Mando tenuto sotto tiro, insieme al suo assortito gruppo di alleati, dai soldati del Moff Gideon. Taika Waititi dirige l’episodio mostrando fin da subito le sue capacità umoristiche con una scena iniziale che, invece di riportarci immediatamente allo stand-off in atto, si sofferma sui divertenti battibecchi tra due scout imperiali, in attesa di ordini relativi alla consegna del Bambino. La sequenza centra un difficile equilibrio comico, tra autoreferenzialità e il rischio di rompere la sospensione dell’incredulità con eccessive strizzate d’occhio allo spettatore (ignorando forse il pur esilarante riferimento alla pessima mira degli stormtrooper), una notevole lezione di comic timing alle più continue, e meno brillanti, battute dei film principali dell’era Disney.
A salvare la situazione, riportandoci poi nel pieno dell’azione a bordo di un iconico speeder Imperiale, è ancora Taika Waititi, questa volta nei panni del letale droide tata IG-88; il suo pirotecnico arrivo porta scompiglio nei ranghi Imperiali, permettendo ai nostri eroi di contrattaccare e ideare un piano di fuga. Le numerose sequenze d’azione presenti nell’episodio sono tra le migliori della stagione, ricordandoci ancora una volta dell’altissimo livello della produzione, con un ottimo mix tra la veridicità di set, numerose comparse e marionette (Dave Filoni ha rivelato come Werner Herzog abbia risposto alla ripresa di scene di riserva con un Baby Yoda in computer grafica: “You are cowards. Leave it.”) e un innovativo utilizzo della CGI da parte della sempre pionieristica Industrial Light & Magic.
Il lungo combattimento, e i piccoli momenti di relativa calma che lo intervallano, sono però anche occasione di approfondire il personaggio del Mandaloriano, affascinante ma finora poco sviluppato. Nel giro di un episodio ne scopriamo il vero nome, Din Djarin, lo vediamo per la prima volta senza elmo (sorpresa, è Pedro Pascal!) e abbiamo conferma della sua origin story, un orfano salvato dalle grinfie dei droidi separatisti da un manipolo di Mandaloriani (dall’armatura particolarmente familiare per i fan di The Clone Wars), che lo accoglieranno come uno di loro.
Definitivamente spiegata la motivazione per l’odio di Din nei confronti dei droidi, diventa ancora più interessante l’arco di IG-88, unico a vederlo in volto, le cui azioni in difesa di Baby Yoda, assieme all’approfondimento sul tema della moralità dei robot, porteranno Mando a ricredersi, rendendo ancora più drammatico il sacrificio finale del droide.
Altro personaggio importante è il Fabbro Mandaloriano (Emily Swallow), unica superstite dell’attacco imperiale, che renderà ufficiale lo status di foundling del Bambino, suggerendo a Mando la via secondo i dettami del loro credo: rintracciare altri membri della razza di Baby Yoda e affidargli il trovatello; nel mentre farà in tempo a consegnare al protagonista il classico jet-pack e un nuovo emblema, sconfiggere numerosi Imperiali armata solo degli attrezzi del mestiere e condire il tutto con il primo vero riferimento della serie ai Jedi. Meno importanti i ruoli di Greef Karga e Cara Dune, ma c’è comunque spazio per un po’di ulteriore caratterizzazione: scopriamo che Cara è nativa di Alderaan, donando notevole profondità alle sue motivazioni con una singola linea di dialogo.
L’episodio si conclude con uno scontro tra il Mandaloriano e il Moff Gideon, da cui Din esce vittorioso, grazie all’acrobatico utilizzo del jet-pack e dei suoi numerosi gadget; è quindi già il momento dei saluti, Mando e Baby Yoda partono per le loro nuove avventure. L’ultima sequenza regala però un colpo di scena finale: Gideon è sopravvissuto, ed emerge dai rottami del suo TIE fighter armato di una spada laser nera. La scena è di grande impatto per qualsiasi fan di Star Wars, ma saranno principalmente i fan di The Clone Wars (di cui, ricordiamo, Filoni e Favreau sono tra i maggiori artefici) a comprendere l’importanza del momento. La spada laser è infatti la Darksaber – arma creata da Tarre Vizsla, primo Mandaloriano a fare parte dell’ordine dei Jedi -, che nel corso della serie animata, e successivamente di Rebels, è stata vista nelle mani di numerosi personaggi conosciuti.
Ancora una volta è da ricordare il notevole lavoro di Ludwig Göransson sulla colonna sonora – elemento imprescindibile di Star Wars – dotata di una propria originalità, mantenendo però sempre il dovuto omaggio a John Williams, come nel remix elettronico delle classiche percussioni da marcia Imperiale, o l’epico acuto di chitarra elettrica che accompagna il primo incontro del piccolo Din con i Mandaloriani, ma soprattutto il tema principale, che questa volta accompagna tutto l’episodio, esplodendo solamente sul finale.
La prima stagione di The Mandalorian ha avuto alti e bassi, ma risulta, nel suo complesso, una buona introduzione alla vicenda e ai suoi protagonisti, riprendendo l’estetica e i temi della trilogia originale tanto cara ai fan, senza però provare a ignorare l’esistenza della trilogia prequel, come sembra spesso succedere nella trilogia Disney.
La seconda stagione è confermata, con una terza già in pre-produzione, e, tra la probabile esplorazione della razza di Baby Yoda (volutamente lasciata misteriosa fin dai tempi di Lucas) e ulteriori collegamenti con le serie animate (numerosi i rumors su una futura apparizione in live-action di Ahsoka Tano), il potenziale per costruire sulle solide basi di questa prima stagione è immenso. Intanto, possiamo dirlo, This is the Way.
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