
Saoirse Ronan – Il mare calmo di una donna indipendente
A volte in un’inquadratura può nascondersi la traccia di un prossimo futuro. E quello di Saoirse Ronan è stato un futuro roseo, splendido, in ascesa verso il firmamento hollywoodiano. Chissà se Joe Wright era a conoscenza della portata anticipatrice della sua ripresa, mentre indugiava con delicatezza sul primo piano di quegli occhi azzurri, intensi, di una Briony Tallis che prende magicamente vita all’inizio di Espiazione. In quegli occhi scorre un mare le cui onde sono mosse dalla forza dell’immaginazione. Una fantasia fanciullesca, alimentata da creature pronte a farsi corpi tangibili che sospinge tanto la protagonista del film del 2007, quanto le figure di donne forti, coraggiose e indipendenti che avrebbero segnato la carriera dell’allora giovane tredicenne.
I personaggi della Ronan sono tratteggiati da un segno netto, preciso. Un’acquaforte viva, pronta a tramutarsi in corpo che respira e occhi che tutto osservano con curiosità e senso critico. Eppure, un filo rosso unisce tutte queste piccole donne. Indomabili, sognatrici, nate dalla costola di Briony Tallis, le ragazze interpretate da Saoirse Ronan sono creatrici alla seconda di nuovi mondi, oppure esploratrici di universi nascosti e a loro volta preclusi, sospinte da quella sete di avventura generata e moltiplicata dallo scorrere di cento e mille pagine. Hanna di Joe Wright, la Jo di Piccole Donne, la Christine di Lady Bird, la Ellis Lacey di Brooklyn, e la Florence di Chesil Beach: sono tutte giovani donne accomunate dai quei occhi grandi, profondi come oceani che si muovono al tempo di fila mosse dal talento attoriale della loro interprete.
SCRIVERE PER (SOPRAV)VIVERE
Nata a New York il 12 aprile del 1994, ma cresciuta in Irlanda, Saoirse Ronan ottiene il suo primo ruolo importante nel 2007 con Espiazione di Joe Wright. Un debutto col botto, il suo, che le permette di guadagnarsi la sua prima nomination agli Oscar a soli quattordici anni. Quella di Briony Tallis non è solo un lasciapassare per Hollywood, ma un modello in bronzo su cui basare aspetti caratteriali, psicologici e intellettuali dei suoi prossimi personaggi. E così ad aprire e chiudere – per il momento – la carriera di Saoirse Ronan c’è da una parte una ragazza mossa dalla sua fervida immaginazione, capace di distruggere con la potenza delle parole intere esistenze, dall’altra Jo March di Piccole Donne che proprio attraverso la scrittura rivendica la propria indipendenza di donna. Sono due facce di una stessa medaglia, riflessi speculari e invertiti della fantasia fattasi in parole d’inchiostro, Briony e Jo. Entrambe tengono stretta la penna, si circondano di fogli, affidando a quella carta il desiderio di espiare le proprie colpe, e di liberarsi da quella gabbia che le tiene rinchiuse, soffocate da spazi aperti, eppure così claustrofobici.
DIVENTARE GRANDI
Kintsugi è la tecnica giapponese di riparazione di oggetti in ceramica impiegando l’oro come collante. Dietro questa pratica, però, si cela un significato metaforico di ferite che una volta guarite, lasciano spazio a cicatrici preziose, perché solo il danno assimilato, fatto proprio e superato, rende la nostra esistenza più preziosa. La mostrazione dei propri limiti e dei propri difetti, l’apprendimento e l’accettazione di se stessi, è alla base di una galleria di personaggi iconici, resi umani nelle loro imperfezioni impersonati da Saoirse Ronan. A metà strada tra l’eredità accolta dalla Briony di Espiazione, e una sete di indipendenza, paura ancestrale e avventura tipica del thriller, si trova Hanna, seconda collaborazione tra la Ronan e Joe Wright. La sua protagonista è una fanciulla eterea e ingenua solo in apparenza. Cresciuta lontana dall’universo civilizzato in un landa ghiacciata della Finlandia insieme al padre Erik (Eric Bana), il suo unico contatto con il mondo esterno è una raccolta di fiabe dei Fratelli Grimm. Ma nei suoi occhi non esiste alcuna principessa in cui immedesimarsi, il suo è uno sguardo iniettato di odio e vendetta pronto a riversarsi sulla “strega” cattiva Marissa. Eppure sarà proprio l’incontro finale con la donna (Cate Blanchett) ad aprire le porte del lato umano di Hanna. Una volta compiuta la sua missione, la ragazza potrà finalmente riunirsi al resto del suo mondo come suo pari. Non più animale selvatico, ma animale sociale, Hanna da piccola e giovane assassina può curarsi le ferite e diventare parte integrante di quella fiaba senza fine chiamata vita.
Non è assetata di sangue, ma di indipendenza la Eilis (il cui nome ricorda quell’Ellis Island, approdo di immigrati in cerca del sogno americano) di Brooklyn. Nel film di John Crowley, la giovane ragazza irlandese alla ricerca di una rivalsa personale comprenderà la bellezza di quei luoghi abbandonati, così lontani da quelli moderni ma poco eleganti. Uno stesso viaggio dell’eroe viene intrapreso da Christine in Lady Bird, dove i primi amori e gli screzi con la madre non sono altro che colate di materiale prezioso in un’evoluzione personale che non solo faranno volare la ragazza verso un futuro desiderato, lontano da quel mondo che la opprime, ma cuciranno le ferite rendendola migliore.
L’AMORE AI TEMPI DELL’INDIPENDENZA
Il potere e l’amore. Un regno da rivendicare e una passione da cui è impossibile sottrarsi. Sono le due anime di un’altra donna forte e indipendente portata con maestria e talento sullo schermo da Saorise Ronan: è Maria, regina di Scozia nell’omonimo film di Josie Rourke. La parrucca rosso fuoco, e i vestiti color cobalto, non fanno altro che esaltare lo sguardo fiero, curioso, e passionale della sua interprete. Nonostante la giovane età, la Ronan comprende i fantasmi che dominavano l’animo della regnante, e i timori che la assalivano al pensiero di dover affrontare la cugina Elisabetta I (Margot Robbie).
Ed è invece un momento unico, romantico, come la luna di miele ad aprire gli occhi e lacerare il cuore di Florence Ponting in Chesil Beach, dall’omonimo romanzo di Ian McEwan. E così, i passi sulla spiaggia sono lenti avvicinamenti verso un burrone in cui lanciarsi, dopo una cena sgradevole, sotto gli sguardi irrisori del personale, e un amplesso compromesso dal terrore di fare un passo falso. Una tramutazione, la loro prima notte di nozze, da sogno in incubo, in cui solo il tempo potrà lenire il dolore.
La dolcezza di Agatha in Grand Budapest Hotel è la stessa dei dolcetti Mendl’s che vende in pasticceria. Eppure la ragazza del protagonista Zero con la voglia a forma di Messico sulla guancia non è la tipica fanciulla melensa, debole e in pericolo, ma una ragazza pronta ad affrontare gli ostacoli senza sottrarsi mai al destino. Mostrata di profilo in un piano ravvicinato mentre pedala sulla sua bicicletta, Agatha domina un ambiente indistinto, e per un attimo, su quella bicicletta, sembra di intravedere il personaggio di una pellicola sulla resistenza. Voluto o meno, quell’abbandono limitato alle tonalità pastello e i colori cremosi tipici di Wes Anderson, enfatizza il lato coraggioso della ragazza.
«Sì l’ho visto bene, l’ho visto con i miei occhi». Sguardo in camera. Occhi sullo spettatore. Colpito e affondato. Chi l’avrebbe detto che da quel primo piano sarebbe scaturita una carriera come quella di Saoirse Ronan? Forse Joe Wright se lo sentiva. E allora ecco che 13 anni dopo, la Ronan ancora domina lo sguardo, ci affascina facendoci cadere nella sua trappola color mare limpido, prigionieri in balia dei suoi personaggi, per controllarci proprio come la giovane Tallis controllava con la forza della sua immaginazione il capo della polizia in Espiazione. E così anche noi diremo che quelli portati sullo schermo dalla giovane attrice non sono personaggi irreali, inventati, ma veri, fatti di carne e ossa, perché anche noi li abbiamo visti. Li abbiamo visti con i nostri occhi.
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