
Dersu Uzala – Viaggi ai confini del mondo | Kurosawa 110
Da due libri di viaggio di Vladimir K. Arseniev, pubblicati nel 1923, è tratto Dersu Uzula, capolavoro firmato da Akira Kurosawa, vincitore del primo premio al Festival di Mosca e dell’Oscar 1976 per il miglior film straniero. In occasione del centodecimo anniversario della nascita del maestro giapponese, proponiamo una breve analisi della drammaturgia minimalista di Dersu Uzala, risultato del grandissimo lavoro di Akira Kurosawa e Yuriy Nagibin.
Il capitano Arseniev giunge in una steppa, nella quale si lavora per la futura urbanizzazione. L’attenzione viene posta su un personaggio che si addentra nel passato, il desiderio del protagonista è rendere omaggio alle spoglie di Dersu Uzala, amico di un tempo trascorso. Si apre una frattura nel racconto e si ritorna indietro di otto anni, al tempo delle missioni di Arseniev presso i territori nei quali scorre il fiume Ussuri. Il suo compito è studiare la conformazione del territorio per conto dello stato.

In una notte tetra, mentre la truppa riposa in una vallata “perfetta per un sabba”, attirato dalle fiamme del fuoco compare dall’oscurità un piccolo uomo della popolazione dei Nanai, Dersu Uzala. Il capitano Arseniev resta immediatamente affascinato da questo omino, il quale rivela fin da subito scioltezza e disinvoltura nel muoversi tra i territori ostili di quell’angolo di mondo.
Dersu Uzula, l’esploratore, il cacciatore, l’abitante della foresta e della steppa, il quale ha amato, vissuto mille vite, è ormai solo al mondo. Il capitano gli chiede di guidare il corpo di spedizione alla scoperta di quelle terre. La storia del viaggio mai compiuto dall’uomo civilizzato, la storia di un’amicizia non convenzionale, può prendere avvio.
La principale difficoltà, anteposta agli sforzi del protagonista, è la natura, energia primordiale, la base stessa della vita, la nostra casa. Questo singolare avversario permette di far emergere le due visioni poste a confronto dagli autori dell’opera: da un lato abbiamo Arseniev, la civiltà, il quale arriva nella taiga per adempiere ad un compito specifico, per lui la manifestazione di qualsiasi elemento naturale, il quale ritarda l’adempimento del suo dovere, è un conflitto, è un problema da risolvere. Per Dersu l’acqua, il vento, il fuoco, gli animali, sono “uomini”, sono propri simili, egli non si considera appartenente a una razza al di sopra di altre razze.
Dunque, il conflitto cardine, essere parte della natura, temerla e amarla allo stesso tempo, contrapposto alla volontà dell’uomo civilizzato di dominarla, è anche l’essenza di questa singolare amicizia. Ostacoli e contrapposizioni che offrono uno sguardo poetico sull’esistenza.

Un passaggio sublime è la grande prova nella distesa di ghiaccio. I due compagni di viaggio si perdono e non riescono a ritrovare la strada per l’accampamento. Il vento gelato, in seguito al tramonto, è la manifestazione del potere insormontabile della natura. Ci vorrà la grande intuizione di Dersu, il quale realizza una capanna ammassando delle canne, per riuscire a sopravvivere e salvare il capitano, svenuto per la stanchezza.
Questo salvataggio sancisce la definitiva ed eterna riconoscenza del cartografo: da quel momento i loro destini sono incrociati. Il capitano, in segno di amicizia e rispetto, gli apre le porte della propria casa. Il fato scorre come l’Ussuri, il mutamento è inarrestabile. Dersu è sempre più convinto di aver attirato l’ira della Kanga, lo spirito della foresta, in seguito ad un’uccisione sacrilega. Spaventato, il cacciatore chiede ad Arseniev di poter accettare la promessa di aiuto avanzatagli. Il capitano presto appurerà che il suo compagno di viaggio è affetto da un principio di cecità.
Come poter essere felici, o anche semplicemente adattarsi, quando non si può provvedere più a sé stessi, ma si deve dipendere da altri, senza essere di alcuna utilità? È il più complesso dei conflitti, quello con la propria anima, al quale Dersu non può sottrarsi. La mancanza della caccia, dell’acqua del fiume, delle notti passate nell’oscurità dei boschi, della vita come la conosceva, del proprio posto nel mondo, rendono impossibile l’adattamento alla città.
Da contraltare l’altro conflitto interpersonale: il capitano vorrebbe essere nel proprio habitat una valida guida, come Dersu lo era stato nella natura selvaggia. Una responsabilità avvertita nel profondo: poter offrire la salvezza ad un uomo che ha rischiato la propria vita per l’altro. Dersu, preferendo rischiare la morte del corpo al posto di quella dell’anima, sceglie di tornare nelle terre selvagge.

La profonda tristezza negli occhi di Arseniev, il tentativo di armare Dersu con un fucile pregiato per consentirgli di tornare nella foresta il più sicuro possibile, rivelano le difficoltà affrontate dall’essere umano nell’accettare la perdita di una figura amica e, in un ultimo, la sua morte. Il capitano si rimprovera di non essere riuscito a proteggerlo dal proprio destino.
L’anima di Arseniev è lacerata, tuttavia il mondo attorno, preso dalle preoccupazioni quotidiane, pare non accorgersi del suo dramma interiore. La transitorietà dell’esistenza. Il cerchio si chiude, Dersu ritorna alla terra, Arseniev medita la scrittura delle proprie avventure ai confini del mondo e l’iscrizione, nella grande letteratura di viaggio, del leggendario esploratore.
Dopo quest’opera meravigliosa, il maestro nipponico si avvierà verso l’ultima parte della sua produzione, ugualmente preziosa, con capolavori quali Kagemusha – L’ombra del guerriero e Ran.

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