
Klaus – I segreti del Natale | Nuova storia, vecchi temi
Non poteva mancare qualche film natalizio a più di un mese dal gran giorno. Così Netflix segue l’esempio di chi già imbelletta i negozi con lucine colorate e facce canute, catapultandoci prematuramente in clima festivo, volenti o nolenti – chissà? –, forse per renderci più buoni (e prodighi): memento donare!
Sulla piattaforma statunitense il 15 novembre è approdato Klaus – I segreti del Natale, l’ennesima storia sull’anziano signore vestito di rosso. Sergio Pablos (già animatore per la Disney e ideatore di Cattivissimo me, fortunato prodotto della Illumination Entertainment) veste i panni di regista e sceneggiatore, scegliendo, per il film d’esordio, la tecnica tradizionale del disegno a mano. Un’iniziativa in controtendenza (viviamo pur sempre nell’epoca della CGI, non dobbiamo farci ingannare dallo Studio Ghibli e da altre perle rare), sorprendentemente innovativa nella resa, che, grazie ad un particolare uso dei colori e delle luci, riesce a competere in tridimensionalità col digitale. Il risultato è un insieme di personaggi voluminosi (benché in due dimensioni) e dotati di grande espressività. Insomma, dal punto di vista formale non si può far altro che complimentarsi, sperando in un revival dell’antica produzione handmade (2.0) che tanto ci mancava nell’animazione ad alto budget: l’esperimento è riuscito!
Tutti noi conosciamo la leggenda di S. Nicola di Myra (o di Bari): bene, dimentichiamola pure. Santa Claus/Klaus, nel nostro racconto, è soltanto Klaus. Nessun miracolo, nessuna magia: la figura di Babbo Natale nasce dalla fantasia dei bambini per una serie di equivoci e coincidenze, sfruttati dal postino Jesper (doppiato da Marco Mengoni) per tornaconto personale. Nella lontanissima e gelida Smeerensburg, città spettrale divisa da lotte intestine, il nostro protagonista compie una serie di azioni che, per puro caso, avranno l’effetto collaterale di migliorare la vita dell’intera cittadina e di creare il mito di (Santa) Klaus.
Si nota una certa riduzione (per fortuna, oserei dire) di quella retorica natalizia un po’ stucchevole che ormai da tempo caratterizza i film a tema festivo (versione pop-laica di valori cristiani banalizzati). Tuttavia, non si eliminano del tutto i temi tradizionali, riassumibili nel motto “Un vero atto di buona volontà ne ispira sempre un altro”, il quale, se si tiene conto delle dinamiche della storia, può essere tradotto così: “Regala un giocattolo a un bambino! Per averne un altro, si comporterà bene, dando il buon esempio a chi gli sta intorno”. Una morale debole che, fondandosi di fatto sull’utilitarismo (e un certo materialismo), rende posticcio l’intento educativo del film (convincere che fare del bene in modo sincero induca il prossimo a fare del bene). Eppure, grazie ai giocattoli, Smeerensburg otterrà una tregua dei conflitti. Per altro non si tratta di balocchi qualunque, bensì di oggetti di altissima qualità, costruiti ad arte e con amore dallo stesso Klaus.
Ma chi è Klaus? Il film propone un’ulteriore “umanizzazione” del personaggio: se già era stato spogliato della santità, ora risulta privo anche dei suoi tradizionali poteri, e afflitto da un triste passato alla Carl Fredricksen. Unico elemento sovrannaturale è una brezza in stile Pocahontas che gli suggerisce la via da intraprendere: ecco, Klaus non è un santo né un essere magico, ma vive in stretto rapporto con la natura e possiede una spiritualità primitiva. Ritiratosi in una baita tra i boschi, conduce un’esistenza semplice, spaccando legna e costruendo casette per gli uccelli; terribile a vedersi per l’enorme stazza, brusco e taciturno, ha in realtà un cuore tenero e crede nella gratuità delle buone azioni (in pratica, fare doni ai bambini tristi). A renderlo familiare ci pensa la voce calda e profonda di Francesco Pannofino.
Klaus – I segreti del Natale vuole essere una fiaba al passo coi tempi, spiritosa e attuale nel linguaggio. Il lungometraggio è nel complesso godibile, anche se punta troppo sulla forma a scapito di una trama un po’ forzata. Riproviamo a guardarlo tra un mese: forse con la giusta atmosfera risulterà più convincente.
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