
Bella di giorno – Costume sociale e desiderio vivo | Buñuel 120
Nel 1967 Luis Buñuel si aggiudica il Leone d’Oro alla Mostra del cinema di Venezia con Bella di giorno, uno dei traguardi stilisticamente più alti della sua filmografia, dove la storia estrema, provocatoria, si coniuga con la sobrietà della messa in scena e della recitazione. In occasione del centoventesimo anniversario della nascita del maestro spagnolo, proponiamo una breve analisi dell’intensa drammaturgia di Bella di giorno, risultato del grandissimo lavoro di Buñuel e dello sceneggiatore Jean-Claude Carrière.
Séverine (Chaterine Deneuve), giovane moglie d’un medico ben avviato, è affetta da problemi relazionali che la conducono a vivere una vita affettiva contorta: fredda e distaccata col marito, cerca rifugio in una casa d’appuntamenti, prostituendosi, in una sorta di personale processo psicanalitico con lo scopo di uscire dalla sua frigidità.
Séverine ci viene presentata attraverso l’elemento centrale della poetica surrealista, il sogno, nello specifico il sogno lucido. Questo ci comunica da subito dove cercare il conflitto e l’origine della scelta. Quest’ultima è una funzione fondamentale per il progredire della narrazione, se il personaggio non compie una scelta la storia non può prendere avvio. La presentazione della protagonista e la decisione narrativa, hanno in comune il complesso di Séverine, questo suo immaginarsi umiliata, in seguito a colpe di depravazione: nel sogno, infatti, viene punita a frustate. Dunque, la prostituzione, atto già di per sé moralmente condannato, qui è anche peggio, in quanto la protagonista non si concede per un bisogno economico.

Nei sogni la protagonista immagina di subire punizioni sadiche. Per quale ragione? L’antefatto è quello di un possibile abuso sessuale di cui è stata vittima Séverine nell’infanzia, ma questo ovviamente non può intendersi come una colpa. Quindi ci chiediamo quale sia, secondo Séverine stessa, la colpa da espiare: bisogna guardare alla storia nella sua interezza, tentare di coglierne il sottotesto. L’opposizione di valori, manifestata dal conflitto, è chiara e netta: il marito Pierre (Jean Sorel) è la sessualità matrimoniale, opposta a quella che l’individuo sperimenta liberamente, al di fuori di un rapporto vincolante; l’amante spagnolo (Pierre Clémenti) rappresenta una forma congiunta di violenza e passione, dalla quale Séverine è assolutamente attratta (per lei è difficile dire di no alle richieste immediate dell’amante, tuttavia non sopporta l’idea di procurare un dispiacere duraturo al marito); il personaggio di Henri Husson (Michel Piccoli), uomo distinto, è la sgradevolezza del riconoscersi nella propria miseria, perché è schietto e diretto, estraneo al più piccolo scrupolo nell’offendere chi gli sta accanto, tant’è che il matrimonio con sua moglie (Macha Méril) prosegue nonostante lei sappia delle sue saltuarie visite alle case d’appuntamenti.
Séverine non ha un obiettivo radicale – come ad esempio elevare la propria posizione sociale – o di vendetta. A muoverla è il soddisfacimento di una mancanza specifica, la quale condiziona ugualmente la felicità: l’appagamento sessuale. Séverine non riesce a concedersi al marito, ma avverte, come tutti, il desiderio sessuale. La chiave di lettura è nell’impulso, ennesima cifra stilistica del maestro. I personaggi di Buñuel agiscono senza essere completamente consapevoli di ciò cui vanno incontro, la forza dell’impulso (del loro essere umani!) li spinge a fare cose di cui essi stessi si vergognano. È il cinema del conflitto tra il costume sociale e il desiderio vivo dell’individuo.
Séverine si ritrova catapultata in un mondo promiscuo, popolato da personaggi buffi, controversi, grotteschi, patetici e violenti. La sensazione d’aver fatto una sciocchezza, d’essersi tuffata in quel pantano, lascia col tempo spazio a nuove sensazioni. Il ribrezzo provato per i clienti muta in una sorta di tenerezza, e in un momento intimo con l’ignaro marito la giovane afferma di riuscire finalmente a capirlo. Eppure, il presagio di questa esistenza precaria, divisa tra l’interpretazione della bella di giorno amata dai clienti e della donna rispettabile, è destinato a compiersi.

Il mondo intorno alle spinte inconsce di Séverine prende il sopravvento su quello domato dalla consapevolezza, l’amante spagnolo ferisce gravemente il marito, portandolo alla paralisi, in uno stato di quasi demenza. La protagonista schiacciata dagli eventi ne esce quindi sconfitta, la situazione di partenza è stata aggravata, adesso il marito non potrà darle l’appagamento sessuale e nemmeno quello del sentimento. Tutto ciò a cui Séverine potrà ricorrere, per difendersi dalla disperazione, sono i suoi sogni. Ed ecco che, nell’ultima scena, il sogno iniziale del giro in carrozza con Pierre è ribaltato dalla quiete, dall’assenza di violenza, o senso di colpa. Lì un cambiamento è avvenuto, la liberazione dal suo complesso.
Dopo questa perla, il maestro iberico si avvierà verso l’ultima parte della sua produzione, ugualmente preziosa, con capolavori quali Il fascino discreto della borghesia e Quell’oscuro oggetto del desiderio.
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[…] Il film è infatti pregno di rimandi a Rohmer (sopratutto la prima parte), al Buñuel di Belle du jour, e pare costantemente giocare con gli stilemi del thriller erotico e del dramma famigliare, […]