
L’Angelo di Kobane – Rinunciare ai propri sogni per la libertà
L’Angelo di Kobane di Henry Naylor, per la seconda volta al Teatro Nazionale di Genova, è un’opera importante da vedere per le tematiche che approfondisce e meritevole di un grande plauso per il modo in cui riesce a farlo. La storia narrata è quella di Rehana, giovane figlia di un contadino siriano che vive a pochi chilometri da Kobane. Lei vorrebbe diventare avvocato, ma si ritrova ad imbracciare le armi contro Daesh per difendere la sua terra e la libertà, nella speranza di rivedere il padre, anch’egli combattente.
Si tratta di un racconto a capitoli, episodi isolati e fondamentali di una realtà all’inizio quieta, in seguito sempre più minacciosa. Rehana si trova dunque a fare i conti con il paradosso del terrore: agire violenza per riconquistare la pace e i diritti fondamentali per difendersi dall’estremismo, da chi la vuole schiava e sottomessa, e per potere, forse, un giorno riaffermare i propri veri sogni in un’aula universitaria e in un tribunale. Il testo è potente: un fiume di immagini, poesia e metafore efficaci che non scade mai nel patetico o nella banalità, dimostrandosi invece rabbioso ed ironico esattamente come la voce di Anna Della Rosa, unica interprete in scena.
La sua è una performance precisa e dal fortissimo impatto, concretizzata intorno a pochi oggetti che sembrano evocati dalla memoria di Rehana e perciò forieri di una profonda carica simbolica: il sangue – tanto della giovane quanto dei suoi nemici – che la annichilisce e la trasforma in assassina, ma che può anche concimare la terra e segnare una rinascita; un ceppo di legno, a rappresentare tutti i campi coltivati dal padre e un’intera infanzia nella natura; una sacca da viaggio che contiene poco o nulla, ovvero ciò che resta quando si fugge in piena notte dalla guerra e dal terrorismo.
Anche la parola si fa materia e diventa di volta in volta ringhio, sussulto, risata, canto o carezza, grazie ad una voce sempre credibile, commovente e ponderata ad ogni battuta. Allo stesso modo le azioni sono calibrate e necessarie, secondo una regia che mette in scena la memoria di Rehana che la trasmette attraverso un corpo alle volte immobile e teso, altre volte esplosivo e concitato.
L’angelo di Kobane è, in definitiva, uno spettacolo che trascina e incanta, come ogni buona storia ben raccontata, e quando si esce dalla sala è difficile che non si depositino nella mente uno stralcio di frase, uno sguardo o un gesto di questa donna che ci chiama a molte riflessioni: cosa è giusto sacrificare per la libertà? Cosa fa l’Europa davanti all’orrore? Quante vite sono spezzate e quanti giovani pieni di risorse sono schiacciati dall’ingiustizia, dalla violenza e dal pregiudizio?
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