
Il meglio del Milano Film Festival 2019
La XXIV edizione del Milano Film Festival, svoltasi nello storico cinema Odeon dal 4 al 10 ottobre, presentava nella sezione dedicata ai lungometraggi sette opere provenienti da ogni parte del mondo, tutte in anteprima nazionale. Qui di seguito analizzeremo brevemente quelle che, più delle altre, ci hanno colpito durante questi sette giorni di festival:
Guerrilla di György Mor Karpati (Ungheria, 2019)
1848, la guerra intrapresa per rendere indipendente l’Ungheria dall’Impero austro-ungarico è ormai agli sgoccioli e si sta per concludere con una sconfitta per gli indipendentisti, nonostante ciò nei boschi e nelle campagne sono ancora accesi gli ultimi focolai di combattimento. Protagonista della vicenda è Barnabas, giovane reticente alla leva che viene però fatto entrare forzatamente nel gruppo di guerriglieri in cui si trova anche il fratello.
Partendo da questi presupposti il regista realizza un film di guerra con alcuni tratti anomali. Primo tra tutti la scelta di ambientare la vicenda ai tempi di un conflitto raramente trattato in ambito cinematografico, altra particolarità è la centralità che la Natura ha nell’opera, essa oltre a determinare in diverse circostanze gli avvenimenti e i destini dei personaggi, sottolinea anche lo stato d’animo ottimista del film tramite i cieli azzurri e i paesaggi bucolici soleggiati che vengono più volte incorniciati sullo schermo. Inoltre, vi è la scelta del regista di veicolare attraverso il protagonista un messaggio antimilitarista, senza moralizzare la guerra come simbolo di patriottismo ma ponendo il focus sull’impatto che questa ha sulla componente umana dei personaggi. Il regista riesce così ad attualizzare l’opera ponendola in contrasto con il forte sentimento nazionalista diffusosi in Europa negli ultimi anni, in particolar modo nella stessa Ungheria.
The Sharks di Lucia Garibaldi (Uruguay/Argentina/Spagna, 2019)
Usando come pretesto il presunto avvistamento di alcuni squali sulle coste argentine di un piccolo paese di pescatori che si affaccia sull’Oceano Atlantico, Lucia Garibaldi – al suo primo lungometraggio – realizza un film sulla formazione dell’identità e del carattere. Protagonista è Rosina, adolescente che attraversa un periodo di mutamenti interiori, una ragazza dal carattere introverso e timido che si trova a dover fronteggiare sia contrasti e piccoli diverbi con la famiglia che lo sviluppo della propria sessualità, incarnato dal rapporto con Joselo, ragazzo più grande di lei, fatto di attrazione, gelosie e piccoli risentimenti.
Il pregio del film sta nella delicatezza, nella quasi timidezza con cui vengono rappresentati i turbamenti di Rosina. Questa peculiarità si accosta molto bene al carattere schivo e riservato della ragazza donando una forte armonia espressiva alla pellicola.
Una nota di merito va inoltre fatta alla fotografia vivace e alle musiche elettroniche che riescono nell’intento di dare colore alle scene più significative, compensando il carattere introverso della protagonista.
Swallow di Carlo Mirabella-Davis (Stati Uniti/Francia, 2019)
Il film racconta le vicende di Hunter, giovane donna ai primi mesi di gravidanza affetta da picacismo − disturbo alimentare che porta ad ingerire oggetti non commestibili − e il suo rapporto con il marito e il resto dell’ambiente familiare.
Lungometraggio d’esordio per il regista newyorkese Carlo Mirabella-Davis, il quale riesce a realizzare un’opera che delinea con sensibilità la personalità della protagonista, proiettandola in un ambiente fortemente maschilista, bigotto, imperniato di valori prettamente materialisti e avido di affetti. Caratteristiche che vengono trasmesse anche formalmente grazie ad un ritmo lento, ai numerosi primissimi piani che alimentano la tensione e alla quasi totale assenza di musiche.
Partendo da questa condizione e arrivando anche a scavare nel passato traumatico di Hunter, il film descrive in maniera efficace la sua psicopatologia e le origini del suo disturbo: per lei ingerire oggetti non nutritivi diventa l’unico modo di ribellarsi al contesto opprimente in cui è ingabbiata, controllare il proprio corpo trovando un’espressione di se stessa.
Pellicola con una sensibilità molto femminile che tratta temi d’attualità in maniera originale, partendo da un quadro psicologico ma arrivando a toccare anche diverse criticità sociali come il maschilismo, le conseguenze degli abusi subiti e lo stigma con cui viene visto chi soffre di un disturbo mentale, anche da parte degli affetti più cari.
Oltre quelli sopra citati, altri quattro film erano in concorso al festival: Ham on Rye (di Tyler Taormina, 2019), un anomalo teen movie in cui si mescolano speranze future e nostalgie di alcuni giovani ragazzi alle prese con il ballo di fine anno; A certain kind of silence (di Michal Hogenauer, 2019), un thriller psicologico che verte sulle dinamiche manipolatorie che intercorrono all’interno di una famiglia facente parte di una misteriosa setta; Koko-di Koko-da (di Johannes Nyholm, 2019) una fiaba horror dalle tinte surrealiste che ha per protagonisti una coppia alle prese con il trauma causato dal lutto per la perdita della giovane figlia; e O fim do Mundo (di Basil da Cunha, 2019), film corale al confine tra il documentario e la finzione che mostra il lato oscuro di Lisbona attraverso la storia di diversi personaggi alle prese con un passato e una quotidianità tormentati.
A conclusione del festival, il Premio internazionale al miglior lungometraggio – dato dalla giuria composta da Margherita Buy, Hannah Woodhead e Maurizio Braucci – è stato assegnato a The Sharks, il pubblico ha invece eletto come suo preferito A certain kind of silence. Il Premio Aprile infine, assegnato dal comitato di selezione, è invece andato a Guerrilla.
L’edizione del Milano Film Festival appena trascorsa ha visto una buona affluenza di pubblico durante tutte le giornate, favorita anche dalla location e dalla presenza di numerosi ospiti importanti come Laura Chiatti, Sofia Viscardi, Valeria Solarino, Giulia Michelini, MYSS KETA ed il compositore di fama internazionale Michael Nyman. Giunto ormai alla ventiquattresima edizione, il festival rappresenta per Milano e i milanesi un’occasione per avvicinarsi al cinema indipendente, apprendere le dinamiche legate agli aspetti tecnici e produttivi del cinema e godere delle anteprime italiane di importanti film internazionali, come ad esempio The Beach Bum di Harmony Korine (qui la nostra recensione: The Beach Bum – Ironia e libertà secondo Korine).
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