
Decoding Bill Gates: una piccola sfida o semplice agiografia?
Inside Bill’s Brain: Decoding Bill Gates è una serie Netflix uscita a settembre per la regia di Davis Guggenheim, premio Oscar per An Inconvenient Truth (2006), altro documentario basato sull’ex Vicepresidente degli Stati Uniti, Al Gore.
La serie, composta da tre episodi, delinea il profilo nascosto del fondatore di Microsoft: brevi incursioni del passato da programmatore e, quindi, CEO del colosso informatico lasciano spesso il passo alla narrazione dei progetti intrapresi dal ritiro ad oggi. Anzi, potremmo aggiungere che il passato del protagonista si dia quasi per scontato e che venga abilmente riassunto nei pochi secondi di intro di ciascun episodio. Il resto dell’impianto narrativo è dato dal dialogo costante fra regista, protagonista ed eventuali amici. Ne deriva un ritratto, molto agiografico, a tutto tondo in forma di conversazione amichevole, in cui viene evidenziata la figura di questo visionario, capace di apparire sempre ottimista e avanguardista nella ricerca di soluzioni ad alcuni dei problemi principali del mondo. Quali sfide lo tormentano? Si tratta di problematiche ristrette a settori privi di investimenti, che senza il supporto della Bill and Melinda Gates Foundation sarebbero rimaste nel dimenticatoio; progetti rischiosi, dunque, che non potrebbero realizzarsi altrimenti. Ed infatti, secondo una stima dal 2000 ad oggi gli investimenti della fondazione voluta dai coniugi Gates ha impiegato quasi 36 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo. Temi quali la sanità globale, le emergenze umanitarie, l’istruzione e la povertà vengono trattati ampiamente.
L’introduzione della serie è chiara: può la scienza salvare il pianeta e miliardi di persone? Bill Gates se ne mostra convinto negli episodi della serie e dirotta in una serie di progetti arditi tutti i suoi sforzi e tutta la curiosità che lo contraddistingueva anche alla Microsoft. Su questo fervore mentale rifletteva anche il primo trailer della miniserie, rilasciato a fine agosto; dopo una serie di quesiti generici e convenzionali (animale preferito, cibo preferito…) arrivava una domanda fondamentale: “Qual è la tua più grande paura?” Ecco che Gates si prendeva del tempo per poi rispondere: “Che il mio cervello smetta di funzionare”.
Nei tre episodi lo vediamo pensare continuamente, solitamente solo, altre volte immerso nella sua quotidianità familiare. E poi lo ritroviamo spesso immerso nella lettura nella sua variegata biblioteca. Da una di queste letture prende avvio una delle più interessanti avventure filantropiche della Gates Foundation: la ricerca di soluzioni economiche ma competitive per consentire a tutti i Paesi in via di sviluppo di usufruire di servizi igienici adeguati, prevenendo il diffondersi di malattie infettive. Un concorso internazionale che ha portato molti giovani a ripensare i metodi tradizionali della società occidentale.
Non potevano certamente mancare i cambiamenti climatici, tanto cari anche al regista e certamente fra le sfide necessarie per la sopravvivenza della nostra civiltà. Nonostante le numerose battute d’arresto, soprattutto politiche, rintracciate in questa sfida Bill Gates rimane ottimista e fedele al duro lavoro che lo ha da sempre accompagnato nella vita.
Si potrebbe concludere con le parole della rivista Forbes:
È stato divertente rispondere alle domande sia serie che più leggere”, scrive ancora Bill Gates. “La cosa più strana del partecipare a documentari di questo tipo è dover parlare tanto della propria vita privata. Posso parlare giorno e notte del mio lavoro, ma discutere della mia storia personale non è qualcosa che mi viene così naturale fare.
Potrebbe essere che tutta l’operazione si inserisca nel recente genere documentario agiografico, dell’auto-apologia o dell’auto-narrazione, certo ideale (come per il doc. su Lady Gaga, distribuito sempre su Netflix). Nonostante questo (per cui alcuni elementi andrebbero presi “con le pinze) la serie-documentario va recuperata, davvero. Piccolo consiglio: in lingua originale.
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