
Peaky Blinders 5 – Someone wants my crown
L’articolo contiene qualche spoiler, pur contenuto.
Questo articolo non è una stroncatura, neanche una promozione. La quinta stagione di Peaky Blinders (BBC, distribuita da Netflix) – celebrissima serie con Cillian Murphy a tenere banco, creata da Steven Knight – è un prodotto a metà. Sconfitti gli italiani, gli Shelby non avrebbero nulla a contrastarli. Ma la stagione comincia con la notizia della crisi del mercato azionario di Wall Street, il cosiddetto martedì nero, 29 ottobre 1929. I gipsy di Birmingham [spoiler] dovranno recuperato il denaro perduto e per farlo si sporcheranno nuovamente le mani, trovando prima l’opposizione dei Billy Boys (fascisti dalla Scozia) poi di un anonimo “sfidante”, nonché la concorrenza di Michael Gray, che ambiziosamente punta al “trono” di Thomas (e tramite Michael entrerà in gioco anche Gina, interpretata da Anya Taylor-Joy).
Le perplessità che travolsero una parte della critica alla visione della season four, vista l’interpretazione tra lo stereotipo e la marchetta di Luca Changretta da parte del famosissimo Adrien Brody, vista l’imbattibilità degli Shelby, vista la scalata precoce e forse ingestibile di Thomas fino alla Camera londinese; le perplessità, si diceva, si rinnovano. In prima istanza per il tema del “suicidio” (tentato) di Thomas Shelby, cioè per alcune sequenze insistenti che avrebbero, secondo gli autori, il compito di tradurre gli istinti suicidi del protagonista: la fucilazione del cavallo amato diventa pretesto per un rallenty e un primo piano con pistola puntata alla tempia; una granata trovata nel campo di grano viene sfiorata volontariamente, pur senza conseguenze (etc, perché altrimenti sveleremmo scene comunque significative). In seconda istanza per una certa confusione che la serie porta avanti, confusione per le multiple linee, per la volontà di mescolare politica (anni ’30) e delinquenza, volontà di raccontare l’ascesa del fascismo in Europa (e in Inghilterra) e il nascente commercio di droga tra Europa e America. Un altro problema che di certo non s’era percepito fino alla conclusa stagione terza è il problema del villain. Nelle prime tre stagioni i Peaky Blinders si interfacciano soprattutto col braccio armato della legge Chester Campbell (Sam Neil) e con Alfie Salomons (Tom Hardy), distillatore. Sono due “cattivi” di grande spessore (non a caso i due attori scelti sono di calibro altissimo) e soprattutto hanno modo di evolversi, approfondirsi in più stagioni. La quarta vede nascere e morire Luca Changretta – questa quinta stagione non vede villain, non vede oppositori. Vero è che potrebbe essere l’elemento innovativo, ma per ora c’è fatica a crederlo.
Un altro argomento d’interesse della serie è il cambiamento di Etica che Tommy pare provare già dalla quarta stagione. Il suo avvicinamento al socialismo, come si stesse rafforzando il legame con la sorella Ada, è ben raccontato, a tratti con la bilancia a favore del gioco di ruolo (sarebbe una copertura, poiché in realtà passerebbe informazioni ai servizi segreti), a tratti con la bilancia a favore degli ideali. Questa seconda tenuta porta delle criticità, perché il “peccato” che Knight dimostra d’avere è un tentativo di far passare i Peaky, e particolarmente Thomas, come “buoni”, perché nell’Europa Continentale il fascismo comincia a diffondersi. Sembra addirittura esserci un obiettivo: attraverso Oswald Mosley (un ottimo Sam Claflin), futuro capo del New Party britannico, lasciar intravedere i nazionalisti contemporanei. Questa “svolta” politica a tratti è convincente, propria, a tratti particolarmente goffa e stereotipica.
Comunque, la serie è molto godibile, nonostante tutto. Il ritmo serrato, i dialoghi buoni anche se a tratti incomprensibili e basati sull’effetto sorpresa: terribili, soprattutto, i dialoghi femminili, e dispiace molto, perché pare sottolineare una tendenza della serie, cioè la sottovalutazione del peso che le figure femminili avrebbero nella gestione dell’impero Shelby (l’unica di peso è Polly Gray). Manifesta la mancata sinergia tra fotografia (eccellente, con colori cupi improvvisamente illuminati dal fuoco delle acciaierie di Birmingham, o pei spari) e regia, che si direbbe forse peccare d’immodestia, per i due “effetto Vertigo” riscontrati senza particolare pertinenza, per dei movimenti di macchina velocissimi senza perché.
Aspettiamo la sesta stagione di Peaky Blinders, visto lo spietato cliffhanger finale (con un cambio di inquadratura inspiegabile). La serie si chiuderà probabilmente con la settima stagione e, forse, con un film (che potrebbe addirittura essere uno spin-off).
In arrivo la sesta stagione.
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