
Ripensare il serial killer: Ted Bundy
La figura del serial killer nella storia del cinema gode di una trasversalità unica. A partire da un caposaldo della settima arte quale M – Eine Stadt sucht einen Mörde (Fritz Lang, 1931, ovvero M – Il mostro di Düssendolf) ha attraversato i decenni e i generi, dal thriller, al poliziesco più elegante sino al giallo all’italiana, finendo per diventare protagonista incontrastata di un sottogenere dell’horror come lo slasher. Trattare in maniera originale una tipologia di personaggio così inflazionata è una sfida cinematografica non indifferente. Tanto più se al centro della vicenda vi è uno dei nomi più famigerati e al tempo stesso discussi della cronaca nera mondiale, già protagonista di tre film e innumerevoli docu-film: Ted Bundy.
Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile è la descrizione che diede il giudice degli efferatissimi omicidi perpetrati da Bundy, e funge alla perfezione da titolo per la pellicola diretta da Joe Berlinger e distribuita negli Stati Uniti da Netflix nel maggio di quest’anno (in Italia distribuita da Notorious Pictures con il titolo Ted Bundy – Fascino Criminale). A questo regista, principalmente noto per i suoi documentari true crime, spettava l’onere di provare la validità dell’operazione.
Scordatevi i deliri di Angst (Gerald Kargl, 1983), il cinismo spietato di Henry: Portrait of a Serial Killer (John McNaughton, 1986), la crudeltà scenografica di Seven (David Fincher, 1995) o le intricate indagini di Zodiac (David Fincher, 2007). Niente di tutto ciò: dei più di trenta omicidi perpetrati da Bundy non vi è che un flebile rimando, una traccia impercettibile. Extremely Wicked non è un film voyeuristico nel senso più morboso del termine, non è nemmeno propriamente un film focalizzato su un killer; è un film su una persona che, quasi marginalmente, noi scopriamo essere autrice di crimini efferatissimi. Su di una persona e sulle relazioni che intrattiene con i suoi cari, l’ambiente circostante, la società intera. Su una persona e sulla sua distorta (per noi) immagine di sé, che porta avanti fino al paradosso e alle più estreme conseguenze.

La visione d’insieme rispetto ad una vicenda realmente accaduta, così come il taglio storico e cronachistico su di essa spetta al documentario; il film ha invece il privilegio (che è anche un dovere) di proiettare il nostro sguardo (limitato) di spettatori sui territori dell’interiorità, assumendo punti di vista parziali e non neutrali, ma che rimarrebbero altrimenti inerti ed imperscrutabili. Anche per questi motivi la performance di Zac Efron risulta convincente: egli è in grado di dare corpo e voce ad un individuo sfaccettato, tanto genuino negli atti quotidiani e nelle manifestazioni d’affetto quanto istrionico e manipolatore negli intenti. E la stessa manipolazione si può dire che avvenga su due livelli compresenti: verso le persone che fanno parte della vita di Bundy e verso lo spettatore stesso, che è portato in maniera (quasi) inevitabile a riconsiderare per un attimo le sue convinzioni, ad assumere costantemente il punto di vista del “cattivo” e in certi casi ad empatizzare, in maniera quasi scandalosa, con esso. Per quanto patologico, l’io di Ted Bundy non è trasformato in macchietta o simbolo caricaturale della perversione assoluta; è invece restituito nella sua versione più normalizzata, seppur complessa e contraddittoria. Così come complessi sono i rapporti con la moglie, dal cui libro di memorie è tratta gran parte dell’opera, interpretata in tutta la sua sofferenza e scissione interna da Lily Collins. A dire il vero, l’intero cast è di tutto rispetto: da John Malkovich nelle vesti del giudice del processo principale, fino ai ruoli secondari di Haley Joel Osment e Jim Parsons. Se accertati sono la solidità e freschezza della sceneggiatura, l’equilibrio tra fedeltà e libera interpretazione dei fatti e le performance attoriali, vera spina dorsale di questo genere di pellicole, anche l’intero comparto tecnico si rivela all’altezza. Aiutato da una riproduzione accurata dei costumi e delle scenografie d’epoca, Berlinger mette in mostra una regia ed un montaggio posati ed eleganti, spesso sulla falsariga dei più classici legal movies.
Extremely Wicked ha ribaltato le mie aspettative da spettatore scettico verso il soggetto e l’attore principale, fino ad oggi sprecato in ruoli comici di bassa caratura (che sia in arrivo un nuovo fenomeno McConaughey?). È raro trovarsi di fronte ad un film biografico che riesca a dare spessore emotivo a tutti i personaggi, anche al più inguaribilmente malvagio, in maniera così limpida. Il tutto senza rinunciare all’accuratezza, confermata dai numerosi fact-checking rintracciabili online e dalla serie di filmati veri mostrati durante i titoli di coda. Se dovessi indicare una via per i futuri film del genere, sarebbe sicuramente questa.
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