
The Boys di Garth Ennis – L’undici settembre e la spy story
Lasciando un secondo da parte The Boys, non sono mai abbastanza le precauzioni con Garth Ennis: autore a-tipico fra le fila sia della DC sia della Marvel (non avrebbe potuto far altro che The Punisher), ha scritto soprattutto all’insegna dell’oltranza erotica e della violenza esplicita. Crossed (2010 – in corso) è vetta difficilmente raggiungibile. Serie a fumetti ideata dal Nostro e poi lasciata a epigoni o degni continuatori, racconta un’Apocalisse epidemica totalmente nuova: coloro che vengono colpiti dal virus si trasformano, come fossero la “riproposizione narrativa” dell’ingegno di Ennis, in individui schizofrenici assetati di sangue e sesso, disposti a qualsiasi tipo di azione pur di soddisfarsi. Crociati (anche se l’inglese adopera Crusaders), dunque, dal segno che il virus lascia sul volto, il che chiama a sé un altro tema centrale per lo scrittore: la religione. Possiamo parlare anche di trasposizione allegorica o antinomica delle leggendarie spedizioni cristiane.
Dunque, proseguendo sul tema: Preacher (1995-2000), con disegni di Steve Dillon, giudicata dallo stesso Ennis, “impossibile da trasporre” e perciò a lungo tenuta lontano dallo schermo, fino a poco tempo fa. Disponibile in Italia sul catalogo Amazon Prime Video, è stata prodotta da AMC (2006) e sviluppata da Evan Goldberg, Seth Rogen e Sam Catlin. Dalla mente dei primi due – con l’aggiunta essenziale di Eric Kripke, noto per esser stato il creatore di Supernatural (2005 – in corso) – prende vita The Boys, ispirato all’omonimo fumetto di Ennis (disegni di Darek Robertson), in edicola, si fa per dire, dal 2006. (Tra i produttori della serie figura Amazon).
Sesso, violenza, religione, si diceva. I Boys sono un gruppo autonomo messo su per tenere a bada i super. Butcher (Karl Urban) è il capo, Hughie (Jack Quaid) il nuovo arrivato – appena sconvolto dall’uccisione della ragazza, travolta da A-Train, l’uomo più veloce del pianeta. Gli elementi basilari del Fumetto sono mantenuti nella Serie, apparentemente, ma il distacco è in realtà netto. Anzi, sembra addirittura che i creatori abbiano volutamente puntato su una precisa linea narrativa che nel fumetto, almeno nelle prime due dozzine di episodi, è del tutto secondaria.
I super non sono eroi, sono star. Miliardi di volte più popolari delle “controfigure” attuali, più di Robert Downey Junior e più di Scarlett Johansson – non certo in qualità di attori nei cinecomic, ma perché di fatto recitano anche nella vita reale, vivono un personaggio multi-mediale, raccontato attraverso ogni social e ogni canale satellitare. La Vough, società che detiene il monopolio dei super (sottoposti a regolare contratto), gestisce la comunicazione, gli eventi, produce i film, i libri.
The Boys si colloca al centro di un discorso autoriale tutt’altro che semplice, di carattere etico: i bersagli sono le leggi di mercato, il cattolicesimo, il governo americano, l’ipocrisia a stelle e strisce e, a livello meta-letterario, tutti i prodotti fumettistici ad argomento super precedenti, accusati di dis-umanamento, di idealizzazione, di mostrare la parte esposta e mai l’oscurità, il disamore, l’inganno a cui il potere economico, agonistico e mediatico potrebbero portare (quello dei super è uno stra-potere, sembra dire Ennis, e non si capisce perché dovrebbero sottostare alle leggi degli uomini piuttosto che alle leggi degli dèi, e perché questo possa andare bene al resto della popolazione). Questo carattere sembra meno evidente nella trasposizioni. Il fumetto gioca profondamente col grottesco e con la parodia, la serie solo parzialmente. Ma, come già detto, si tratta di due prodotti differenti e la menzione a titolo dell’undici settembre non è casuale.
La narrazione del fumetto è del tipo u-cronico: uno o più eventi della storia vengono modificati e in una “profezia del passato” (come scrisse A. Prosperi in merito agli studi storici) ne è narrato lo sviluppo alternativo. La parentela col genere fantascientifico è addirittura banale, se non che il what if ucronico fonda le proprie regole esclusivamente sulla storia e spesso su possibilità storiche universalmente riconosciute come capitali, come crocevia. Così la vittoria dell’asse in The man in the high castle (1962, Philip Dick – anche serie per Amazon Prime Video dal 2015) o parzialmente nella bellissima Fringe (2008-2013), perché nel mondo parallelo a quello di riferimento nessun Hindenburg ha preso fuoco, divenendo così i dirigibili il principale mezzo di trasporto aereo del pianeta.
Nel fumetto, l’evento-crocevia è l’undici settembre [spoiler fumetto]: la minaccia terroristica era concreta e la Vough, attratta dal potenziale mediatico di un intervento dei propri super, ha inviato i Sette, in pratica gli Avengers, la squadra più potente e più popolare del pianeta. Ma Homelander (il Patriota, maschera speculare di Superman) commette degli errori e gli aerei precipitano, addirittura accelerando la propria traiettoria. L’evento è aggravato dal fatto che gli aerei stessero per essere distrutti preventivamente dai servizi segreti. Oltre il danno la beffa, ovviamente entrambi insabbiati.
Nella serie, questo evento viene ridotto drammaticamente, da evento storico a evento iper-contemporaneo, da attacco terroristico riuscito a [spoiler serie] volo di linea perduto nell’Oceano. Non è solo una “attualizzazione”, come si legge dovunque, ma un cambio di paradigma, uno slittamento di genere. Il taglio u-cronico è bypassato a favore di una narrazione differente.
Come già detto, la diversità è totale. Il che non rende la serie un fallimento, anzi. I creatori hanno dimostrato coraggio nella ri-creazione del prodotto, adatto ad una fruizione estesa ma non banale, non superficiale, non adatta ad un pubblico comune. Impegnativo l’aggiornamento elettronico e storico, una attualizzazione a 360 gradi. La regia è, quasi come da regola, al servizio della narrazione, ma con degli indugi niente male sui volti, sulle conversazioni, sui silenzi. La fotografia volutamente buia, in più punti, volutamente legata a un immaginario prossimo a Punisher, Daredevil o Batman, coi quali può gareggiare. Su tutto, se è vero che sono mantenute le promesse di oltranza erotica e di violenza, la serie non impegna la maggior parte dei suoi minuti in scene d’azione, ma in tutt’altro: nell’investigazione. Ecco, il mondo possibile u-cronico (e satirico-grottesco) e soprattutto oltraggioso di Ennis rimedia il passaporto del giallo, o meglio: della spy-story.
Incursioni antifrastiche di questo tipo non rappresentano delle unicità nel mondo dei fumetti. Da me, penso a Invincible, supereroe di grande stoffa, dalla mano zombiesca di Robert Kirkman, anch’esso dalla enorme portata satirica. Nella serialità sì, invece: per la quale è frequente un comodo adagio, oserei dire, al massimo all’interno della categoria di anti-eroe, cioè dell’eroe umano (The Punisher), dell’eroe inetto (The Thick? Sempre di Amazon), tutto sommato mai distante da un’etica condivisa. Forse nessuno si era spinto fino al traguardo tagliato da The Boys.
Sottinteso, dunque, un auspicio, e niente più, se non un consiglio a cuore aperto di visione.
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
Aiutaci a sostenere il progetto e ottieni i contenuti Birdmen Premium. Associati a Birdmen Magazine – APS, l‘associazione della rivista
[…] perfettamente nell’alveo delle serie di supereroi “schierate” come Watchmen di HBO o The Boys di Amazon Prime. La quasi totale assenza di contenuti grafici espliciti può far pensare che si […]
[…] run dal colpo di scena efficace anche se reiterato. Si può dire che manca – più che nella prima stagione – la componente supereroistica (mantelli e poteri esclusi, ovviamente), ma il punto di The […]