
“Gang Gong Girls”: un album di corpi armati tra femminismo e arte
Il rapporto tra corpo, arte e femminismo è ciò che la conferenza-spettacolo Gang Gong Girls ha messo in luce al Cineteatro Volta di Pavia. Il gruppo autonomo che l’ha portato in scena è composto da quattro voci già note alla scena teatrale-sperimentale italiana e dallo spiccato interesse nello studio delle teorie di genere: Ilenia Caleo, (performer, attivista e ricercatrice), Silvia Calderoni, (vincitrice del premio Ubu 2009 come migliore attrice under 30), Beatrice Busi, (ricercatrice indipendente ed attivista femminista) e Maddalena Fragnito, (artista indipendente e attivista culturale). È stata proprio Ilenia Caleo a spiegarci come la loro sia una ricerca nata da un’indagine che voleva protrarsi oltre i soggetti anatomicamente femminili, arrivando a tutti i corpi considerati marginali e soggetti a violenza.
Ciò che è esposto alla violenza maschilista, patriarcale e omofoba, dalla Rivoluzione Francese sino al 2007 con eventi cinematografici come Planet Terror, è oggetto dello spettacolo; i volti, le locandine, i disegni che vengono presi in considerazione scavano a fondo in una storiografia di cui poco si conosce e che lascia parzialmente destabilizzati, ad un primo sguardo. Sono proprio questi elementi ad assumere la forma di un vero album di figurine dove gli adesivi non sono unicamente in mano alle attrici sul palco, bensì distribuiti tra il pubblico. Un ausilio, questo, utile al fine di orientarsi meglio tra le facce e gli eventi che vengono presi in considerazione, senza privarsi del piacere di poter completare la propria collezione, a fine conferenza. Tra le mani, ritagliati in piccole porzioni rettangolari, appaiono i volti, nascosti e non, di donne che imbracciano pistole, fucili, che partecipano alla lotta armata.
Il confine tra i sessi si assottiglia ancor di più quando le foto dei primi travestimenti mettono in luce il gioco tra identità e genere. Un’azione che esce dal teatro in senso stretto e che fa di Gang Gong Girls uno strumento capace di insinuarsi sempre meno passivamente tra il pubblico, parte attiva di ciò che viene proiettato – tramite un grande schermo bianco ed una partitura musicale di accompagnamento efficace – sulla scena.
La scelta di optare per il legame tra donne ed armi da fuoco viene sottolineata da qualche pistola e fucile giocattolo; elementi che rimandano allo spettacolo realizzato già da Motus nel 2002, Raffiche, (diretto da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò), basato sulla pièce di Jean Genet del 1948 e riscritto da Magdalena Barile in quell’occasione, in cui avevano recitato sia Ilenia Caleo che Silvia Calderoni. In questo modo non solo il tema delle armi legate a corpi femminili perdura in maniera piuttosto significativa; lo studio sull’identità è sempre più approfondito ed approda nella disarmante semplicità di linguaggio di cui Gang Gong Girls si carica, senza mai risultare banale.
«Everybody talks about women: we don’t»
(tutti parlano delle donne: noi no)
«Vergewaltiger wir kriegen euch»
(stupratori, noi vi combattiamo)
Queste scritte con forte matrice storica appaiano sulla scena e mettono qualche pausa in alcuni punti del discorso, dividendo quasi la conferenza in simil-atti tra il teatrale ed il cinematografico. Mano a mano che vengono narrati i fatti, le tappe cui si approda sono diverse; ovviamente non mancano volti noti al panorama performativo contemporaneo come quello di Marina Abramović. Uno scatto, il suo, che la vede ritratta con una serie di fucili stretti in un abbraccio severo creando un forte contrasto tra corpo femminile e arma. Ilenia Caleo, Silvia Calderoni, Beatrice Busi e Maddalena Fragnito sono in grado di trattare un tema che alle orecchie di molti potrebbe risultare inusuale, con una chiarezza e una forza deflagranti.
La realizzazione del loro progetto è il frutto di un lungo lavoro di ricerca; scava nelle radici più profonde dell’identità fisica, etnica, territoriale e sessuale dell’essere umano e ne scardina completamente i confini. Un lavoro complesso che ha visto nel proprio tessuto costituente il contributo di alcune realtà rilevanti per la sperimentazione performativa e teatrale: prima fra tutte Motus, (compagnia teatrale nomade indipendente), il CRAAAZI, (gruppo di ricerca indipendentemente di Bologna che lavora sul queer e trans-femminismo), il Macao, (spazio sperimentale per le arti di Milano), e L’Atelier Si, (uno spazio più istituzionale di Bologna in cui si fa teatro).
Gang Gong Girls si conferma sino al suo termine una conferenza-spettacolo partecipata, perfettamente adatta al suo nome. Ciò di cui si occupa non è solamente fornire numerose informazioni circa i legami tra femminilità, violenza e storia ma anche interessanti interrogativi circa la potenza detonante che ogni corpo, proprio nella sua unicità, rappresenta.
«Se una donna con una pistola incontra un uomo con una pistola,
chi dei due ha più paura?»
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