
«Que será, será»: addio a Doris Day
Que será, será/ Whatever will be, will be/ The future’s not ours to see/ Que será, será
Figlia di immigrati tedeschi, Doris Mary Anne von Kappelhoff deve il suo nome alla star dei film muti Doris Kenyon: era bella, bionda, di gentile aspetto, l’interprete americana nata a Cincinnati nell’aprile del 1922 e deceduta a causa di una polmonite il 13 maggio di quest’anno all’età di 97 anni nel suo ranch di Carmel, in California. La notizia è stata diffusa dalla Doris Day Animal Foundation, la fondazione a cui l’attrice dedicava da decenni la maggior parte del suo tempo.
Definita dal critico Dwight McDonald «sana come una scodella di cornflakes e almeno altrettanto sexy», terzogenita tanto amata dalla sua famiglia, Doris Day ebbe un’infanzia burrascosa: prima la morte del fratello maggiore, poi la separazione dei genitori, infine un drammatico incidente in auto a causa del quale dovette rinunciare al suo sogno di diventare ballerina. Proprio durante la convalescenza la ragazza decise di seguire la passione del padre, il canto, e di far fruttare le lezioni impartitele dalla madre: così si fece strada alla radio e poi in tournée con l’orchestra di Barney Rapp, Bob Crosby, Jimmy James e Les Brown. Ascoltava il jazz alla radio e cantava i brani come in una sorta di karaoke, amava le orchestre di Glenn Miller, Duke Ellington, Benny Goodman; la sua voce preferita era quella di Ella Fitzgerald: «In quelle giornate così noiose in cui dovevo stare ferma la Fitzgerald faceva galoppare la mia fantasia e mi teneva compagnia».
Allo scoppiare della Seconda Guerra Mondiale, Doris era già una star ed un’icona popolare nonostante le nevrosi, i blocchi psicologici e le ferite sentimentali. Negli ultimi mesi di guerra, dopo una lunga serie di concerti con Les Brown, interpretò Sentimental Journey e il motivo diventò un inno per tutti i soldati americani che sognavano il ritorno a casa. A questo seguirono numerosi singoli riusciti che entrarono nella classifica di Billboard (My dreams are getting better all the time, l’intensa The whole world is singing my song e I got the sun in the morning).
Fu un casuale incontro con Michael Curtiz (l’asso di Casablanca) a dare una svolta alla sua vita con un contratto di sette anni con la Warner Bros. Il regista cercava la tipica “ragazza della porta accanto” per il film Romance on the high seas (Amore sotto coperta) che subentrasse a Judy Garland. Aveva solo 24 anni e nulla le era precluso. Subito dopo incontrò l’uomo della sua vita, prima agente e consigliere, poi marito, al quale resterà fedele fino al 1968, anno della sua scomparsa.
Furono ben 39 i film che scandirono la carriera della “Fidanzata d’America”, la cui semplicità non diminuiva di certo la sua classe: quasi tutte commedie sorridenti e rassicuranti, ma sempre realizzate con impeccabile professionismo, da Te per due (dal musical No no Nanette) a Non sparare, baciami, diretti a ritmi alterni da Curtiz e David Butler.
Allo scadere del contratto con la Warner e sotto consiglio di Melcher, l’attrice si affidò ad Alfred Hitchcock che per L’uomo che sapeva troppo la convinse perfino a lasciare gli Stati Uniti per il Marocco e Londra, poi formò una coppia d’oro con Rock Hudson che ricorderà per sempre come suo partner prediletto. Proprio in L’uomo che sapeva troppo Doris Day porta in scena la logica degli Studios, con la fedeltà tipica di una vera e soprattutto devota “Fidanzata d’America”, ma senza che questa adombri la sua personalità: la sua tempra rimase ben solida sotto la patina della bionda ingenua, alternando il terrore di donna e di madre a momenti di sogno come l’esecuzione di Que será será, destinato a diventare evergreen della musica americana.
Alla morte del marito, Doris Day si allontanò dal grande schermo per passare alla televisione con il Doris Day Show, che ottenne immutato successo dal 1969 al 1975. Nel frattempo diventò vegetariana convinta, prese casa in un ranch dove allevava i suoi cani prediletti, si espose come attivista repubblicana e ridusse al minimo le sue apparizioni pubbliche.
Film come Amami o lasciami, Il gioco del pigiama, Il letto racconta, Il visone sulla pelle, Non mangiate le margherite, Amore ritorna!, La mia spia di mezzanotte sono la spina dorsale della commedia romantica degli anni Cinquanta e Sessanta. In una Hollywood che iniziava a riflettere le inquietudini politiche e culturali del Paese, queste commedie, considerate incarnazioni della repressione sessuale dei Fifties (in realtà osè al momento dell’uscita), sarebbero state rivalutate da critici di estrazione femminista.
Molly Haskell, per esempio, sottolineò come Doris Day – il cui appeal, nei sondaggi dell’associazione degli esercenti USA, fu eguagliato solo da quello di Shirley Temple – interpretasse spesso donne con una carriera professionale di successo: una scelta che contrastava con la santificazione normarockwelliana della casalinga del secondo dopoguerra. Ma le rivoluzioni dei Sixties non facevano per lei e Day rifiutò il ruolo di Mrs. Robinson in Il laureato perché la storia tra una donna della sua età e un uomo molto più giovane andava contro i suoi principi.
Doris Day ha avuto la lungimiranza di capire per tempo quando la sua stella stava tramontando e quando si smorzavano le luci sul suo sogno americano, che aveva saputo incarnare per le platee di tutto il mondo:
La mia immagine pubblica è inevitabilmente quella dell’integerrima vergine d’America, la ragazza della porta accanto, spensierata e sprizzante felicità. È un’ immagine più lontana dalla realtà di qualsiasi ruolo abbia mai interpretato. Ma non c’è verso: sarò per sempre la signorina cintura di castità.
Diceva Doris Day a A.E. Hotchner in un libro di interviste pubblicato nel 1976, tre anni dopo che l’attrice di Il letto racconta, Amami o lasciami, L’uomo che sapeva troppo, si era ritirata dagli schermi.
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