
A bordo di un “Treno di parole” per conoscere Raffaello Baldini
Poeta? Certo, se si accetta la singolarità di Baldini. Meglio: “reinvenzione radicale” della poesia (per Umberto Fiori), anche come allusione alla dimensione di oralità, di voce poetica, perché addirittura leggendarie sono diventate le letture pubbliche del poeta, quasi un cantore. E un saggio se ne può fare su Youtube o grazie allo splendido progetto “Voices of Italian Poets“.
Poeta dunque, Raffaello Baldini (1924-2005) ha esordito nel 1976 con la raccolta E’ solitèri. Successivamente ha pubblicato: La nàiva (1982), Furistìr (1988), Ad nòta (1995), Ciacri (2000), Intercity (2003); nonché testi per il teatro. L’uso del dialetto in poesia, precisamente del dialetto romagnolo, oltre a un’indubbia necessità espressiva, sembra soddisfare l’esigenza di mantenere un legame con il mondo del paese d’infanzia, un mondo che – parafrasando le sue parole – accadeva proprio in dialetto. Ma un mondo “lontano”, in un certo senso, perché da esso si era allontanato negli anni cinquanta, trasferendosi a Milano. Baldini aveva fatto parte a Santarcangelo del “Circal de’ giudéizi” (Circolo del giudizio) insieme a Gianni Fucci, Tonino Guerra, Rina Macrelli, Flavio Nicolini e Nino Pedretti, tutte figure di notevole spessore per la cultura letteraria e cinematografica non solo italiana (in particolare Tonino Guerra ha lavorato da sceneggiatore insieme a registi come Antonioni, Fellini, Tarkovskij). Non è forse casuale che il Cinema abbia fatto ritorno a Santarcangelo per parlarci di Baldini.
Il regista Silvio Soldini era presente alla proiezione del film Treno di parole (2018) di lunedì 8 aprile nel contesto della rassegna cinematografica Il mio film, organizzata presso il Cineteatro Volta di Pavia (qui il video dell’incontro). In quella occasione ha specificato che il suo film vorrebbe rendere omaggio a un grande poeta e, al contempo, tentare di farlo conoscere al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. La ricerca documentaria è partita necessariamente dalle testimonianze orali di chi lo conosceva – la figlia Silvia Baldini, colleghi poeti come Gianni Fucci, Franco Loi, Giancarlo Consonni, la studiosa Clelia Martignoni, l’attore Ivano Marescotti e molti altri – per arrivare poi a fotografie, a immagini di repertorio di alcune sue letture pubbliche e ad alcune interessanti riprese in pellicola 8 mm di cui è “regista” un giovane Baldini.
Un pregio del film è indubbiamente quello di dare spazio alle letture d’autore, così fondamentali nel caso di Baldini:
S’u i fóss ‘na gòmma da scanzlè, ‘na gòmma
da inciòstar, no da lapis, o se no
s’na machina da scréiv, bat xxx,
o, par fè mèi, xyxy,
o, par fè mèi ancòura, mnmn,
ch’u s fa póch mn, mo e’ scanzèla,
porca masóla, ch’u n s capéss piò gnént […]Se ci fosse una gomma da cancellare, una gomma / da inchiostro, non da lapis, o se no / con una macchina da scrivere, battere xxx, / o, per fare meglio, xyxy, / o, per fare ancora meglio, mnmn, / che si fa poco mn, ma cancella, / porca masola, che non si capisce più niente […]” (La gòmma).
Fortunatamente le letture di Baldini che possediamo sono molte, come già anticipato, e ci trasmettono la singolare frenesia ed espressività che sapeva dare al dialetto – e all’italiano – dei suoi testi (ricordiamo l’uscita a breve del CD Compatto, che raccoglie 47 poesie lette dall’autore).
Il risultato è che siamo completamente travolti dalle parole, dalla complessa spontaneità (sappiamo che l’io-lirico baldiniano ha rapporti eventuali col proprio autore) e dalla strabordante comicità della sua poesia.
Sappiamo da chi lo ha conosciuto che Baldini aveva carattere riservato, timido e schivo, al punto che non aveva mai parlato della propria attività poetica prima di pubblicare. È come se ‘Lello’ avesse giocato continuamente a nascondino, nella vita e in letteratura, in modo simile al protagonista di Cut (‘Nascondino’):
” […] E’ sarà piò ‘d do òuri ch’a so què,
l’è da òz dopmezdè, u s fa nòta, e lòu,
puràz, i zirca sémpra,mo i n mu n tróva,
e a i vì vdai a truvèm dréinta sté béus.
E’ po’ ès ènca ch’i apa pérs la vòia,
che e’ zugh u s séa smanè, ch’i séa ‘ndè chèsa.
Pézz par lòu, mè a stagh bón tra tótt’ stagli asi,
aquè sòtta u n mu n tróva piò niseun.[…] Saranno più di due ore che sono qui, / è da oggi pomeriggio, si fa notte, e loro, / poveracci, cercano sempre, ma non mi trovano, / e li voglio vedere a trovarmi in questo buco. / Può darsi anche che abbiano perso la voglia, / che il gioco si sia smagliato, che siano andati a casa. / Peggio per loro, io sto buono fra tutte queste assi, / qui sotto non mi trova più nessuno. // “
Un’atmosfera surreale anima le poesie di Baldini, quasi sempre generata inaspettatamente a partire da dettagli precisissimi, concreti e realistici. Soldini non ha la presunzione di voler riprodurre quella poesia nelle immagini del film, ma sa offrirci con sensibilità alcuni scorci di Santarcangelo che sembrano davvero usciti da quel mondo poetico. Il resto va affidato alle immagini di repertorio e a quei rari e intimi 8 mm girati da Baldini: chissà cosa avrebbe voluto e potuto dirci l’anziano contadino ripreso sul greto del fiume; e chissà cosa avrebbe voluto e potuto dirci di sé una persona così schiva e geniale come ‘Lello’ in quell’autoritratto nel riflesso di un vetro che chiude il film. La risposta sembra essere: “niente”. Non avrebbe detto niente di più di ciò che si trova nella sua poesia, nel suo treno:
“L’è un Intercity, quèst, u n’è un Esprès,
[…] ò capéi, la disorganizaziòun,
porca putèna, mo cma pòl suzéd?
quèst’ l’è una roba che,
i è dvént tótt mat? un treno sno par mè?È un Intercity, questo, non è un Espresso, / […] ho capito, la disorganizzazione, / porca puttana, ma come può succedere, / questa è una roba che, / sono diventati tutti matti? un treno solo per me? // ” (Intercity).
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