
Intorno all’amore, mai in centro. “Da soli non si è cattivi” al Teatro Fontana
In scena al teatro Fontana fino a domenica sette aprile per la regia di Fabiana Iacozzilli, Da soli non si è cattivi traduce il testo di Tiziana Tomasulo in tre atti al massacro.
La partitura è limpida, una specie di favola della buona notte che invece di far addormentare sveglia, scava, sprofonda in una risata tanto catartica quanto amara, amarissima.
I personaggi portati sul palco dalla compagnia La Fabbrica sono carne da macello per qualcosa che chiamano amore, ma in cui l’altro diventa lo spettro deforme di un riflesso, una scusa, un fastidio, una tragica incapacità di stare con se stessi
Atto primo (con Simone Barraco, Francesco Meloni e Marta Meneghetti): Barbara e Riccardo stanno insieme da quando hanno sedici anni. Una metamorfosi kafkiana riuscita per metà li ha trasformati in una coppia ibrida di gemelli. A tenerli uniti, in un’insopportabile competizione quotidiana, è il bisogno di dimostrarsi di essere migliore dell’altro, nonostante si abbiano gli stessi gusti, si mangino le stesse cose, ci si innamori perfino delle stesse persone. è così che Nancy, ballerino inglese, si trova tragicamente sospeso in questa tensione durante un pranzo che degenera velocemente in un dramma surrealista.
Atto secondo (con Ramona Nardò): in scena solo una donna seduta e lo schermo luminoso del suo tablet. La domanda è semplice: la chiamo o non la chiamo? Innamorata della sua dottoressa, la protagonista affronta la fine della terapia e il rischio di non vederla più con un monologo serrato, cinico ed esilarante che la porta desiderarla di più, respingerla, immaginare scenari apocalittici per il loro incontro, a essere riconosciuta, a immaginarsi bellissima e poi invece a essere terrorizzata dalla prospettiva di essere solo se stessa.
Atto terzo (con Francesca Francomeni e Francesco Zecca): come residui lontani di una favola abbandonati a narrazione terminata, un principe azzurro e una Biancaneve si raccontano la liberazione che proverebbero dopo la morte o l’abbandono dell’altro. Lui impegnato a sturare un gabinetto da cui sembrano emergere carcasse di storie lontane, lei a osservarlo seduta sul bidet. Il perimetro piastrellato del bagno, scenario quanto mai adeguato, diventa una gabbia da cui, per qualche motivo, è impossibile uscire.
Una regia brillante cuce le trame eterogenee, i dialoghi, i monologhi, le rincorse e le stasi interminabili come componenti inscindibili dello stesso discorso. Un discorso intorno all’amore nel senso più fisico che “intorno” può avere: che sta ai lati, alle periferie, lo manca, lo desidera perché senza non ci sa stare ma forse non è più capace nemmeno di desiderarlo.
La penna giovane di Tiziana Tomasulo e l’ottima prova della compagnia La Fabbrica offrono uno spaccato puntuale e significativo della vita di una relazione, o meglio: dentro una relazione. Relazione con chi? Con un altro generico, che nemmeno importa, che nemmeno esiste e se esiste – con le sue angosce e imperfezioni – crea più problemi di quelli che risolve. Un altro generico che più spesso è il riflesso della paura che ho di restare solo, di non essere nessuno, di non essere riconosciuto o peggio di essere riconosciuto come lontanissimo dalle mie fantasie. E allora in che senso da soli non si è cattivi? Nel senso, forse, che non si mai da soli, che anche in assenza, l’altro che voglio e respingo sono io. E così, nel retrogusto amaro di questa tragicommedia, i conti sono presto fatti.
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