
Uno sguardo su FOG 2019: datamigration_1, OPACITY#4, Rotten#1
Dal 15 marzo al 5 giugno, la Triennale di Milano ospita FOG, festival delle arti performative che quest’anno giunge alla sua seconda edizione. Fra gli spazi coinvolti nell’iniziativa, la Fabbrica del Vapore, locale che nelle date del 25 e 26 marzo ha accolto tre spettacoli, appositamente creati per il festival. A fare da collante fra i tre, seppur in maniera non sempre lampante, il rapporto incrinato fa uomo e natura, già tema della XXII esposizione internazionale della Triennale intitolata Broken Nature.
In alcune opere, al corpo è stato affiancato il contributo delle arti visuali, che ha assolto una funzione essenziale all’interno della grammatica scenica. È il caso di datamigrationˍ1 di Giovanfrancesco Giannini, prima opera in ordine di esibizione. L’idea di Giannini, coreografo e performer, è quella di mostrare due modalità diverse di archiviare e trasmettere la storia. Vengono conciliate due tipologie di immagini, presentate in simultanea: il fotogramma proiettato e l’immagine evocata dal movimento, dalla danza. Su un computer sempre presente in scena si succedono immagini legate a noti episodi di storia recente, proiettate sul muro: in più occasioni il movimento del performer si avvia a partire dalla riproduzione delle posizioni dei soggetti ritratti nelle immagini, accorciando così la distanza che separa geografie lontane dall’istante presente. L’idea è attraente, ma la meraviglia iniziale ha breve durata, a causa di un’impalcatura forse troppo cerebrale per generare suggestioni profonde.
L’elemento audiovisivo ricorre anche in OPACITY#4, spettacolo che ha chiuso entrambe le serate. Una rappresentazione firmata da Salvo Lombardo, che si inserisce all’interno di un progetto più ampio, L’Esemplare Capovolto/Excelsior, e affronta la tematica dell’identità culturale, mettendo in discussione la prospettiva etnocentrica occidentale. Dimensione preminente in questo lavoro è il suono: strade trafficate, rumori esotici, la stessa voce registrata di Jaskaran Anand, esecutore della coreografia. Il performer è assorbito dalla ripetizione ossessiva di un repertorio gestuale contenuto, avente la funzione di condurlo in trance: ciò viene vissuto come un pericolo, crea smarrimenti d’identità, come viene esplicitato dalla registrazione vocale. L’azione ha per Anand una visibile valenza immersiva: un po’ meno per il pubblico, che manifesta una moderata perplessità di natura semantica per tutta la durata dello spettacolo.
Esente da questa carenza ermeneutica, Rotten#1, progetto del collettivo artistico Munerude, formato da Francesca Antonino, Laura Chieffo, Ilaria Quaglia. Guidate dalla musica di Gabriele Ottino, le tre danzatrici danno vita ad una dinamica di separazione e ricongiungimento, che raffigura l’ambivalenza della Natura. L’immagine iniziale mostra un corpo collettivo formato da tre figure che, in un alternarsi di scontro ed equilibrio, sviluppano un percorso che le libererà dalla totalità originaria. La carnalità è un tramite che lascia emergere istintivamente la vitalità violenta della Terra: luci, musiche e un’interpretazione appassionata rendono trasparente la metafora, relegando le riflessioni a fine spettacolo.
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