
“Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello”: rappresentazione impossibile di un’esistenza apocrifa
Il 9 maggio 1921 al Teatro Valle di Roma fu rappresentato per la prima volta quel Sei personaggi in cerca d’autore che avrebbe radicalmente segnato la storia del teatro, italiana e non: in quell’occasione un drappello di spettatori indignati – turbati? – lasciò la sala gridando “Manicomio! Manicomio!”.
Quattro anni dopo Luigi Pirandello pubblicò una necessaria prefazione al testo con intento chiarificatore, evidenziandone la genesi e quelle istanze formali poi digerite, assimilate e riproposte, talvolta in modo fuorviante e pretenzioso, dal teatro contemporaneo.
In fondo, l’operazione pirandelliana si profilava come un’”aggressione” al teatro fino ad allora conosciuto in quanto, per indagare l’ambiguo rapporto realtà-finzione e il labile confine teatro-vita, scardinava assodati meccanismi scenici. È a partire dal cortocircuito teatrale creato dall’autore siciliano che Michele Sinisi, regista di “Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello” in scena al Teatro Fontana di Milano, scandaglia un testo, dapprima pietra di scandalo, annoverato fra i classici più illustri. L’operazione drammaturgica, curata da Francesco M. Asselta e lo stesso Michele Sinisi, e sviscera minuziosamente la pièce pirandelliana, da un lato inquadrandone istanze formali, sollecitazioni emotive e stimoli percettivi, dall’altro riproponendo le medesime chiavi sceniche messe in relazione alla contemporaneità. Partire dalle suggestioni originali per creare un congegno (meta)teatrale autonomo e squisitamente contemporaneo che indaga e riflette sul mondo dello spettacolo, sulla ricezione del testo pirandelliano e, in ultima battuta, su se stesso: a questo la nuova produzione Elsinor, in prima istanza, ambisce.
Più che ad uno spettacolo teatrale in senso classico, ci si trova di fronte ad un percorso aspirante ad essere “esperienza” che, attraverso un fil rouge teso da Pirandello ai nuovi media, ad ogni replica tenta di costruirsi in modo diverso. L’opera originale, seppur costituendo le fondamenta del lavoro di Sinisi svolge la funzione di pre-testo, in quanto la funzione rappresentativa e narrativa è soverchiata dalla velleità di “incarnare”: se il Sei personaggi pirandelliano era il racconto del meccanismo – e della magia – della creazione teatrale, la narrazione della dialettica persona – personaggio e la testimonianza dell’inautenticità del nostro essere, i Sei personaggi di Michele Sinisi ambiscono a configurarsi come creazione teatrale ad ogni replica in fieri, ad incarnare quel cortocircuito fra persona e personaggio; ad essere personificazione dell’inautenticità contemporanea.
Nel rompere con i paradigmi tradizionali, la vita irrompe nell’arte in modo drastico: quella inquieta dei sei personaggi senza autore che irrompono in teatro mentre un gruppo di attori sta provando Il giuoco delle parti e quella altrettanto perturbante della nostra contemporaneità. Un duplice dramma dell’inautenticità, dove fisiologicamente la forma travalicherà il contenuto: Sinisi crea un gioco di rifrazioni infinito, una centrifuga sovraccarica di elementi eterogenei che disintegrano lo spazio teatrale e scompongono le strutture drammatiche fino ad implodere. Il minimo comune denominatore fra le suggestioni proposte è lo sfondo mediale, la protesi tecnologica che, esattamente come nel lavoro di Sinisi, si infiltra nei modi più randomici nei meandri dell’esistenza, senza sovvertirla, ma totalizzandola al punto da non riuscire più a distinguere cosa sia reale o virtuale: lo spettacolo è costellato di canzoni contemporanee in diretta da Youtube, didascalie su una pagina Word, chiamate che arrivano, cellulari che squillano, riprese in diretta durante lo spettacolo, attori che si presentano tramite diretta Facebook.
Nello scorrere inesorabile del flusso di contenuti mediali sembrano incastonarsi lacerti di “vita” o presunta tale – si pensi al quadretto, solo apparentemente naturalissimo, delle dinamiche della compagnia teatrale che, all’inizio, sta mettendo in scena Il giuoco delle parti o, addirittura, la drammatica vicenda dei personaggi – articolati su svariati registri linguistici ed emotivi: dal caricaturale dialetto pugliese all’aulica solennità pirandelliana, dalla grassa risata disimpegnata alla tragedia che ammutolisce; l’uno contraddice l’altro impossibilitando lo spettatore ad individuare una traiettoria definita. In senso lato lo spettacolo si articola come “crisi” di ogni certezza, invitando a rinunciare a una sistematizzazione della realtà: quello che parrebbe un lavoro dalle pretese quasi “sperimentali”, in realtà è solo un “classico” dei nostri giorni, il classico dell’era digitale dove ogni relazione fra i corpi è fittizia e possibile. La vita con i suoi molteplici significati si è già sgretolata e dispersa, restano, però, i significanti che di volta in volta si possono riassemblare in forme senza referente.
E, proprio focalizzandosi, sull’incipit vien da domandarsi: e se i Sei personaggi di Sinisi fosse esso stesso un simulacro? D’altra parte, non appena ci si accomoda in sala, si colgono attori e regista intenti a trafficare fra palco e platea come, appunto, se nulla fosse. Come se nessuno spettacolo debba iniziare le luci restano accese: non esiste spartiacque fra vita e teatro, fra realtà e finzione. O meglio, sta al singolo intraprendere la tormentata recherche: l’esistenza autentica sfugge ad ogni tentativo di reclusione e, forse per questo, ad ogni replica diversi artisti del panorama teatrale milanese si “infiltrano” in questo particolare dispositivo scenico recitando a soggetto.
Sul finale viene chiesto al pubblico di scegliere uno fra tre recipienti contenenti l’urlo disperato di tre madri che hanno perso un figlio in circostanze tragiche: all’apertura del contenitore non prorompe alcun grido. Perché ciascuno, se desidera, può esserne artefice; perché alla fin fine l’unica direzione – anche interpretativa – possibile è quella che scaturisce dalla soggettività, dall’esperienza personale, ragion per cui la totale mancanza di organicità di questo gioco delle parti può essere letta come irrazionale marasma di suggestioni sconnesse o ragionevole allegoria del giorno d’oggi; l’intrinseco carattere contraddittorio come frutto di un’efficace dialettica fra i vari segmenti scenici o come fallimentare risultante di un meccanismo straripante di elementi malamente gestiti; l’«infinita rifrazione» come unica esegesi possibile o sconsiderato e didascalico escamotage narrativo. Cos’è allora, davvero, Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello? Un Titanic potenzialmente infallibile passibile di schiantarsi inesorabilmente al primo iceberg, probabilmente.
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