
Il buio non è tenero – Il turno di notte tra sogni e realtà
Sostano qualche attimo fra il pubblico ed entrano in scena, LUI e LEI, due soggetti inquadrati solamente a livello fisiologico dai pronomi che li designano: sono i protagonisti del dramma Il buio non è tenero, andato in scena l’8 e il 9 giugno 2022 al Teatro Linguaggicreativi di Milano, in occasione del festival Risveglio di Periferia.
Silvia Pallotti e Tommaso Russi sono gli attori in scena e gli autori della drammaturgia, che racconta la vita di chi vive nella precarietà, di chi è senza direzione nell’odierno indeterminato accadere delle cose. Indeterminato come LUI e LEI, due individui caratterizzati da un’ambiguità nominale, loro statuto ontologico che li rende specchio del nostro tempo. Tuttavia, in filigrana è presente una storia che dona loro una pur esile fisionomia: LEI architetto, LUI laureato in giurisprudenza, si innamorano durante l’ennesimo colloquio di lavoro di una vita precaria, e insieme sognano un futuro migliore. Ma il buio si fa strada nelle loro vite, un buio contemporaneamente metaforico e fisico.

Buio, luce e libertà del corpo
Nel buio che spesso avvolge la scena è facile leggere una metafora dell’incertezza come stato esistenziale in cui sono immersi, sommersi LUI e LEI. La luce agisce per sottrazione rispetto al buio dominante, trafugando spazio alle tenebre per inquadrare momenti della narrazione che si configurano quasi come squarci: LUI e LEI usano due torce per trovarsi, un faretto illumina qualcosa che si agita sul fondo della scena. Tuttavia, la luce ha anche il suo lato violento: quando le emozioni tra LUI e LEI rischiano di conflagrare, un interruttore è premuto, la scena si illumina tutta e lo stacco diviene netto, traumatico.
Ma non si ricerca forzatamente l’effetto speciale: è la scena stessa ad essere caratterizzata da un’intrinseca plasticità. Una scena in continua formazione, proteiforme, precaria, dove ogni oggetto può diventare altro da sé: una pentola divine orinatoio, poi eletto per ripararsi dai pericoli che il buio nasconde.
Perchè il buio non è tenero, ma non c’è tenerezza neppure in ciò che la luce rivela. La dimensione di tenerezza cui il titolo dell’opera allude (negandola) sembra risiedere invece nei gesti quasi primordiali che si scambiano i protagonisti: linguacce, smorfie di ogni genere e tipo, movimenti del corpo che compongo una danza che ha in sé qualcosa di tribale, originario. Il corpo ritrova quella libertà che la coscienza dell’io sembra avere perso, poiché imprigionata dalle sue angosce, dall’ansia per il futuro, dai sogni che inesorabilmente sembrano essere destinati a infrangersi.

Non solo LUI e LEI
Ma questa non è solo la storia di LEI e LUI: è una via narrativa sulla quale si innestano altri tracciati, come la visione dell’ultimo esemplare di una specie in via di estinzione, o l’entrata in scena dell’ambigua venditrice di delusioni, colei che si nutre dell’incertezza, simbolo di una società fondata sull’opposizione tra il successo e il fallimento.
Punti di raccordo fra queste vie sono gli attori stessi che, per pochi istanti, si svestono dei panni dei loro personaggi e, agendo come le didascalie di un copione, danno con brevissime battute unità ai vari momenti della scena, scandendo inizio e fine dello spettacolo. Che si conclude con un colpo di scena: LEI aspetta un figlio.
Sembra (se mai c’è stata) perdersi la gioia di avere “tutta la vita davanti”, poiché i sogni dell’architetto e dell’avvocato devono fare i conti con la realtà. Vanno messi da parte, stipati nel cassetto dei sogni irrealizzabili. Al buio LUI e LEI discutono su cosa fare: una nascita complica il futuro, lo rende ancora più buio, più incerto. Andare avanti nell’età adulta significa forse abituarsi al buio? E il buio non è tenero.
Uno specchio
LUI e LEI. Tutti potremmo essere LUI, così come potremmo essere LEI. In questo meccanismo elementare, l’ambiguità pronominale crea una drammaturgia che diviene un perfetto specchio della contemporaneità, nel quale chiunque può, con singolare misura, vedere (piaccia o no) riflessa la propria immagine.
Prima ancora che originale e convincente, il lavoro di Silvia Pallotti e Tommaso Russi è empatico, catalizza le emozioni del pubblico mostrando in scena buio e luce, paure e sogni che giacciono sul fondo del nostro essere. Tutto in un rapporto quasi angosciante, dove la speranza sembra essere la prima a morire e l’ultima (forse) a fiorire. A tratti la scena ha quasi il sapore di un episodio di Black Mirror, specchio di fronte al quale il pubblico, con il suo applauso, sancisce la riuscita dello spettacolo.
Il buio non è tenero
di e con Silvia Pallotti e Tommaso Russi
consulenza al movimento scenico Stefania Tansini
musiche Stefano Bossi
scene Marianna Cavallotti
produzione Il turno di notte con il sostegno di Accademia Teatrale Veneta
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