
After life: il dramma della condizione umana
C’è vita dopo la morte? Domanda eternamente senza risposta, alla quale chi è ateo risponderà sicuramente in modo negativo. Correggiamo il tiro, quindi: c’è vita dopo la morte della persona amata? Ricky Gervais mette in scena senza retorica il dramma del lutto.
Disponibile su Netflix dall’8 marzo, After life è una commedia nera in 6 episodi, scritta, diretta e interpretata dal comico britannico Ricky Gervais, nei panni di Tony, un uomo letteralmente distrutto dalla morte della moglie Lisa. Il cinismo e il pungente sarcasmo che contraddistinguono l’idea di sé che ci ha dato finora Gervais (basti pensare ai suoi spettacoli o a The office, serie del 2001) sono qui il muro che il protagonista si costruisce per far fronte al dolore della perdita.
Conosciamo il personaggio di Tony come un uomo depresso e cinico, con tendenze suicide, che usa il sarcasmo come una maniera per punire il mondo. Senza freni inibitori, dice e fa tutto ciò che vuole, considerando questo atteggiamento come una sorta di superpotere.
Eppure, dal video messaggio che gli ha lasciato la moglie e dalle parole degli altri personaggi, apprendiamo che Tony è tutt’altro che una cattiva persona. Ma con il lutto qualcosa in lui si è spezzato, e di conseguenza si sono incrinati anche i legami con familiari e colleghi – e il suo modo di relazionarsi con le persone. La messa in scena ci mostra gesti reiterati nella giornata del protagonista, come dar da mangiare al cane, al quale Tony adduce il motivo per cui non si è ancora tolto la vita. Il tema del suicidio ritorna a più riprese nella serie, affrontato da diversi punti di vista. E sarà proprio il suicidio di uno dei personaggi – “acconsentito” da Tony stesso – a permettergli di sublimare l’esperienza.
Ma il viaggio che compie Tony per tornare ad essere un brav’uomo è molto più complesso. Come ci si riconcilia con il mondo dopo un evento tragico? Come si può tornare ad apprezzare la vita dopo che la propria quotidianità è stata completamente stravolta?
La riconciliazione di Tony passa necessariamente attraverso il relazionarsi con gli altri. Un relazionarsi che all’inizio è caustico, fatto di (ottimi) dialoghi in pieno stile Gervais. Ma di sequenza in sequenza, mentre anche noi acquisiamo familiarità con i luoghi e le persone della quotidianità dell’uomo, quel qualcosa di spezzato dentro Tony sembra lentamente ricomporsi. L’incontro con esseri umani che come lui – come tutti – affrontano i problemi della vita lo aiuta a comprendere che, anche se di certo non potrà veder realizzato il suo desiderio di avere indietro Lisa (del resto, non aveva funzionato neppure nel mito greco di Orfeo ed Euridice, figuriamoci nella vita reale), quel che lo fa stare bene è fare del bene.
In un mondo sempre più cinico e individualista, dove “gli stronzi aumentano” («Assholes are growing numbers», ci viene detto in un episodio), abbiamo bisogno di After life.
Vi sembra retorica? A me no. Non posso far altro che tornare con la mente al lascito della filosofia leopardiana: la fraterna solidarietà può aiutare l’Uomo a vivere con meno sgomento il dramma della condizione umana. L’Uomo è in balia degli eventi, contro la morte non si può fare nulla. Eppure, se ci troviamo tutti sulla stessa barca, piuttosto che affondarci a vicenda, potremmo semplicemente remare insieme – sembra suggerire Gervais. La serie gioca molto (difatti) sull’empatia dello spettatore, ed è proprio la sua semplicità a renderla così apprezzabile.
Ricky Gervais, con una buona regia e restando fedele al suo stile, ci mostra un altro lato di sé. In una parola, “Umano”. Splendidamente e tragicamente umano.
«If you’re a good person, doing things you wanna do is the same as doing good»
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