
La narrazione in “How to get away with murder”
Ho a lungo cercato la formula che più mi convincesse nel complesso sistema narrativo della serialità televisiva. Ho ritenuto per tempo che l’intreccio di voci di Game of thronespotesse essere d’eccellenza, fino alla totale disfatta delle ultime stagioni, governate non da un sadico senso dell’humor (che alcuni hanno issato come stendardo), ma da una (in)completa prevedibilità degli eventi, ormai non sufficiente. Ho pensato alla temporalità cinematografica di Breaking bad, quella lentezza fastidiosa ed ipnotica che ha spesso operato una sofisticata selezione naturale degli spettatori; eppure, nonostante il sapore permanente sulle labbra, non mi ha convinto. Ho conosciuto serie di una linearità piacevole e semplicissima, quando la complessità ha smesso d’affascinare, quando l’enigma non solo diegetico ma anche tecnico aveva stancato. A quel punto ho riesumato un consiglio dimenticato. Suggeriva, durante l’inverno di Gotham e True detective 2, la visione di How to get away with murder – Le regole del delitto perfetto, che dall’oscena traduzione italiana si prestava a interferenze semantiche tra un C.S.I. da una parte e Criminal mind dall’altra, con le quali nulla ha a che fare.
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L’articolo è stato pubblicato il 18 aprile 2017 sul sito http://inchiostro.unipv.it/
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