
Conversazione sulla felicità – Intervista a Martina Di Tommaso
Il periodo storico che attraversiamo è segnato da specifici problemi che si presentano un po’ dappertutto, tra i più complessi ci sono sicuramente quelli legati alle migrazioni. Un film che affronta questo tema, dandoci anche la possibilità di metterci nei panni dell’altro, cosa molto importante nei periodi di crisi, è Via della felicità, esordio nel lungometraggio di documentario della giovane autrice pugliese Martina Di Tommaso. La storia si concentra su una famiglia italiana di San Pio (quartiere popolare della periferia di Bari) che sceglie di trasferirsi in Germania, nella speranza di riuscire ad avere maggiori opportunità. L’intimità dell’opera restituisce le mille sfumature del disagio vissuto da chi si confronta con una cultura diversa, specialmente sul piano linguistico.
Il conflitto tra ciò che si guadagna lentamente e ciò che si è perso emerge dallo scontro-confronto tra gli adulti e i più piccoli, momenti ricchi di significato, che spingono a chiedersi che cosa siano il benessere, la felicità. Sui dialoghi sinceri, a volte un po’ amari, il film trova il suo campo di ricerca. Via della felicità è un progetto finalista del premio Solinas, sezione documentari, realizzato grazie al fondo di sviluppo del Milano Film Network Abbiamo il piacere di poterne discutere con l’autrice, Martina Di Tommaso:
Qual è il processo che una giovane autrice deve attraversare per realizzare un film come questo? Perché hai scelto proprio questa famiglia?
- Film come questo nascono principalmente da un incontro umano molto forte e potente, scatta qualcosa, una sorta di innamoramento, che ti permette di sapere che seguirai la persona che hai incontrato anche in capo al mondo, qualsiasi cosa accada. È una visione un po’ romantica, ma per quanto mi riguarda è accaduto proprio questo con Elisa e i suoi ragazzi. Ci siamo scelte a vicenda, riconosciute, non si può prescindere da questo, non si può scegliere senza essere scelti. Abbiamo iniziato a girare senza particolari strumenti, io e loro, la produzione e i sostegni economici sono arrivati dopo. Bisogna prendere e partire, investire il proprio tempo e affidarsi alle persone.
Quanto ha pesato la presenza della macchina da presa nelle vite dei protagonisti?
- La camera è un oggetto complicato, è un oggetto testimone che non fa sconti e mostra tutto, anche l’invisibile. Tutto è possibile grazie alla fiducia, ad un patto, anche non detto, che permette ai personaggi di sapere e di sentire che non verranno traditi dal regista. Accettare la macchina da presa non è mai facile, certe volte è proprio impossibile. Nel documentario è molto importante riconoscere questa impossibilità e rispettarla. Per quanto mi riguarda, l’alternanza tra assenza e presenza della macchina da presa scandisce il ritmo della lavorazione. Ci si accorge spesso che sono i momenti in cui la macchina da presa è assente che permettono un’evoluzione della relazione e della vita stessa.
In Germania sei riuscita a mostrarci la quotidianità dei ragazzi a scuola e della madre a lavoro. Com’è stata vissuta la presenza della camera, nei contesti sociali tedeschi, in relazione al processo di integrazione dei protagonisti?
- In realtà non mi sono preoccupata molto delle reazioni delle persone nei contesti sociali in cui ho filmato: ero sempre e completamente concentrata sui personaggi, sulle loro emozioni. Quando ho dovuto chiedere permessi per girare li ho chiesti senza dare troppe spiegazioni su quello che stavo facendo.
Ritengo che il film sollevi efficacemente il conflitto tra l’andare via dal nostro paese per mancanza di opportunità e il dover affrontare, nel nuovo Stato, i problemi di integrazione, con la lingua, soprattutto, e il costo della vita, che, nella maggior parte degli Stati dell’Europa occidentale, eccede notevolmente quello italiano. Da autrice, in un momento storico complesso, come consideri l’attuale panorama italiano dal punto di vista delle risorse economiche e creative?
- Certamente con il mio film ho provato a raccontare che anche noi italiani siamo migranti per necessità e non solo per studio o lavoro. Il nostro paese costringe molte persone a compiere questo salto nel vuoto verso un altrove illusorio, idealizzato che poi si rivela più faticoso del previsto, più complesso. Tutto questo è però lo sfondo di una storia intima e personale nella quale i personaggi devono ritrovare un posto nel nuovo mondo, un’identità nuova e ristabilire i ruoli perduti per trovare la forza di andare avanti. Per quanto riguarda il panorama italiano, in un paese che purtroppo non riesce a dare il giusto valore alla cultura e all’espressione artistica, è difficile muoversi, ma non impossibile. Bisogna continuare a raccontare storie, con qualsiasi mezzo a nostra disposizione e in qualsiasi circostanza.
Quali sono i tuoi maestri? I registi che più rispecchiano le tue idee e la tua visione?
- Nel percorso di costruzione di un’identità creativa, le influenze sono tante come gli incontri e gli scambi, a volte si tratta di registi con una visione, altre influenze non hanno niente a che fare con il cinema. Parlando di registi, Leonardo Di Costanzo è l’autore a cui devo di più.
Il tuo film è Via della felicità, cosa c’è dietro la parola chiave del titolo? Cosa possiamo trovare cercandola?
- Via della felicità è in realtà il nome della strada in cui vivevano Elisa e i suoi ragazzi nel quartiere Enziteto, San Pio, da cui sono partiti. Poi chiaramente rimanda a una ricerca di una strada alternativa che possa portare ad uno stato diverso delle cose, migliore, si spera. È un punto di partenza che si trasforma in percorso e forse in punto di arrivo.
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
Aiutaci a sostenere il progetto e ottieni i contenuti Birdmen Premium. Associati a Birdmen Magazine – APS, l‘associazione della rivista