
“The Purge”, la serie: violenza democratica
Negli anni Settanta, nel seminale volume The American Nightmare, numerosi critici e teorici discutevano la capacità del genere (ed in particolare di ciò che oggi identifichiamo come realist horror alla Non aprite quella porta) di esprimere in forma più o meno diretta questioni sociali e traumi culturali. L’horror americano, almeno nei suoi esempi migliori, sembra aver sempre cercato di posizionarsi in modo critico rispetto a questioni politiche di vario genere, dalla metafora dello zombie in Romero alla politica di genere dello slasher anni Ottanta, sino alle elaborate continuità fra la Guerra al Terrore e gli scenari del torture porn.
Parte della sorpresa con cui nel 2013 è stato accolto La notte del giudizio, di James DeMonaco, lascia intravedere quanto poco gli spettatori siano abituati a pensare il genere in questi termini. Nella pellicola, infatti, la metafora politica è quantomai esplicita e quindi di facile individuazione: in un’America prossima ma oscuramente realistica, l’annuale “notte dello sfogo” diventa l’occasione per una vera e propria esplosione di violenza legalizzata. Per una manciata di ore, l’impunità (quasi) assoluta consente a (quasi) tutti i cittadini di vendicarsi dei torti subiti o di dare sfogo alla propria distruttività mortale.
Il successo del lungometraggio ha dato origine ad una serie di film attualmente composta da quattro episodi e, piuttosto recentemente, ad una serie televisiva distribuita in Italia da Amazon Video e composta da 10 episodi (una seconda stagione è stata nel frattempo confermata). Prodotta dallo stesso DeMonaco e posizionata cronologicamente fra il primo e il secondo episodio cinematografico, la serie segue il percorso di alcuni personaggi durante le dodici ore di una “notte dello sfogo”. Diversi per collocazione sociale, obiettivi personali e grado di partecipazione al massacro, i vari individui seguiranno percorsi diversi che, prevedibilmente, finiranno per intrecciarsi.
Se bisogna riconoscere che la serie non aggiunge granché di nuovo a quanto presentato dai film, il suo valore come sintomo dei tempi rimane decisamente intatto. Qui, se possibile, il potere carnevalesco dello sfogo è ancora più esplicito: la violenza grottesca che si libera per le strade assume l’aspetto di una mascherata mortale, che ribalta l’ordine quotidiano delle cose e ne riscrive dalla base le coordinate.
A questo primo livello, di apparente (per quanto perversa) democraticità, si sovrappone però uno strato sotterraneo di conservatorismo culturale esplicito, incarnato anche in questa serie dalle figure dei Nuovi Padri Fondatori. Ancora una volta la “notte dello sfogo” si rivela una gigantesca copertura per gli interessi di specifici individui e gruppi industriali, una sorta di valvola di sfogo per il surplus produttivo dell’industria delle armi (qui gli echi orwelliani si fanno evidenti).
Dal punto di vista visivo, la serie mantiene fede all’immaginario (anche cromatico) di DeMonaco, al quale i vari registi si adeguano senza particolari variazioni. Colpisce nello specifico la presenza di alcune scene particolarmente crude, che contribuiscono a segnalare la centralità di alcuni temi fra i numerosi messi in campo. Anche in questo caso, infatti, l’obiettivo sembra essere quello di funzionare come cattiva coscienza degli Stati Uniti, lavorando sui nervi scoperti e sulle grandi problematiche sociali (l’edilizia popolare, la posizione scomoda della donna sul luogo di lavoro, la presenza di culti millenaristici etc.).
Se, da una parte, ci si sarebbe potuti aspettare forse qualcosa di più slegato da tutto ciò che si è già visto al cinema, dall’altra rimane il fatto che The Purge è una serie promettente, un’espansione perfettamente adeguata della sua matrice filmica, che vale decisamente la pena di seguire. La speranza per la prossima stagione è quella di vedere arricchita non tanto la capacità di critica socio-politica, quanto piuttosto la complessità dei motivi profondi che rendono il meccanismo dello sfogo tanto oscuramente credibile.
Qui il trailer:
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