
BlacKkKlansman – Capovolgere la bandiera
A distanza di tre anni dall’ultimo lungometraggio – Chi-Raq (2015) –, il prolifico ed eclettico regista afroamericano Spike Lee, tutt’altro che estraneo all’impegno politico e sociale, torna ad affrontare la questione razziale.
Nominato per la Palma d’oro, BlacKkKlansman (2018) viene presentato in concorso al 71° Festival di Cannes il 14 maggio 2018. Dopo lavori biografici come Malcolm X (1992) – con protagonista Denzel Washington nei panni del celebre attivista di Omaha –, l’autore originario di Atlanta torna di petto sulla “questione nera”, come nera diviene la bandiera statunitense che si capovolge alla fine di BlacKkKlansman. Similmente a quanto fatto in Nella valle di Elah (2007) dal regista americano Paul Haggis – certamente per ragioni diverse ma non così distanti –, i due autori concludono i loro film con un’inquadratura ritraente la bandiera a stelle e strisce messa sottosopra, segno internazionale per la richiesta di aiuto. Un grido di allarme, di denuncia, di cui si fa portavoce un cinema sempre più compromesso nel reale.
Tratto dal racconto autobiografico (Black Klansman) dell’ex poliziotto di colore Ron Stallworth (nel film interpretato da John David Washington, primogenito di Denzel Washington), BlacKkKlansman, tra i molteplici riconoscimenti, si aggiudica a Cannes il Gran Premio della Giuria e una menzione speciale della Giuria ecumenica.
Ron Stallworth è il primo poliziotto di colore di Colorado Springs (nello Stato del Colorado). Mosso da un encomiabile spirito d’iniziativa, Ron – con l’aiuto del collega Flip Zimmerman (Adam Driver) – struttura un’operazione d’infiltrazione nel gruppo locale del Ku Klux Klan. Siamo agli inizi degli anni settanta, pochi anni dopo la morte di Martin Luther King (1968), gli anni delle Pantere nere. Nel cast del film, tra gli altri, anche Alec Baldwin e Topher Grace.
BlacKkKlansman è un film ripulito da cosmesi superflue e spettacolarizzanti, un poliziesco perfettamente orchestrato e diretto, un giallo “ritmico” che alterna abilmente il dramma all’ironia. Una sceneggiatura lineare dà vita a una narrazione brillante e vivace, supportata da una regia e da un montaggio sempre calibrati (da notare l’utilizzo del montaggio alternato e dello split screen). Il regista statunitense, anche grazie alla fotografia di Chayse Irvin, ricrea perfettamente le atmosfere degli anni settanta americani – impeccabile in questo senso il lavoro di Curt Beech (scenografia), Marci Rodgers (costumi) e di Janine Parrella (trucco) –, tra black power e suprematisti bianchi, poli opposti di un’America spaccata dalle tensioni e dal conflitto sociale.
Lee traccia quanto più schiettamente un parallelismo patente con l’America di Trump, ben lontana dall’aver risolto i problemi che il film cerca di raccontare. L’operazione del regista di Atlanta (città natale anche di Martin Luther King) volge lo sguardo al passato (che si presta come cassa di risonanza) per porre l’attenzione al presente, raggiungendo l’acme nel finale, dove viene mostrato materiale di repertorio riguardate proteste e fatti dei nostri giorni. BlacKkKlansman si inserisce a buon titolo tra le migliori opere dell’autore americano. Un film eminentemente e dichiaratamente politico (ndr: ora più che mai necessario).
Piccola curiosità: John David Washington è il primo di quattro figli dell’attore afroamericano Denzel Washington. Il debutto di John David sul grande schermo avviene proprio nel film Malcolm X (Spike Lee, 1992), dove il padre interpreta il ruolo del protagonista. Nella pellicola, John (nato nel 1984) veste i panni di un giovane studente di Harlem.
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