
Ricorsi dell’immaginazione in «Mary e il fiore della strega»
Nell’ambito della rassegna di film d’animazione “Al cinema insieme”, domenica 16 dicembre 2018 al Cineteatro Cesare Volta di Pavia si è tenuta la proiezione di Mary e il fiore della strega (2017) di Hiromasa Yonebayashi.
Con questa sua ultima opera, Yonebayashi pare abbia fatto centro solamente in parte. Già animatore de La città incantata (2001, regia di H. Miyazaki) e Il castello errante di Howl (2004, regia di H. Miyazaki), nonché regista del celebre Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento (2010), l’artista giapponese torna a raccontare di luoghi fantastici, mondi incantati, intrepide avventure e misteri da risolvere, il tutto all’insegna di uno stile la cui bellezza, letta in assoluto, viene ad incrinarsi se messa a confronto con precedenti lavori.
La trama è topica nella sua strutturazione: una protagonista dai rossi capelli (la Mary del titolo), maldestra e, però, volenterosa, munita di un’arsenale di buoni sentimenti, un’eccentrica fattucchiera (Madame Mumblechook), una lista di divieti puntualmente ignorati – come nelle migliori fiabe che raccontano un percorso di crescita – eccetera, eccetera. Una simile costruitone narrativa non è esecrabile, specie se teniamo conto che il pubblico cui pare voglia rivolgersi l’autore sia “d’età non superiore ai dieci anni”. Tuttavia di fronte ad Arrietty, la piccola Mary perde vigore. Se la prima può farsi leggere su più livelli, risultando un personaggio costruito per un pubblico eterogeneo, la seconda appare come una bambina inserita in un percorso di formazione “a maglie larghe”, vago ed indefinito. Ciononostante, in fondo, ciascuno è libero di ritagliarsi la fetta di pubblico con cui vuole interagire e, presa senza considerare il percorso di Yonebayashi, la vicenda risulta comunque gradevole, ben bilanciata tra sequenze dinamiche, descrittive ed alcune più malinconico-evocative.
Una domanda sorge spontanea: perché così tanti riferimenti impliciti ed espliciti a lavori della regia di Miyazaki? Dal gatto Jiji di Kiki – Consegne a domicilio (1989), dal castello di Laputa – Castello nel cielo (1986), passando per le prospettive aree su cieli azzurri e tramonti rosso fuoco che ricordano fin troppo da vicino Il castello errante di Howl (2004) e ancora per la figura di Madame Mumblechook che strizza un po’ troppo l’occhio alla Strega delle Lande. Il lavoro di Yonebayashi sembra più il frutto di un virtuosismo formale che una possibile ricerca di novità. Fermo restando che «il plagio è un atto di omaggio» poiché «chi copia ammira» (Roberto Gervaso), siamo di fronte ad un prodotto che si lascia “guardare”, ma non è chiaro fino a che punto si lasci “pensare”, un prodotto che sembra compattarsi (soltanto?) attraverso un immaginario fatto di ricorsi e prese in prestito, con una costruzione della narrazione che procede per apposizioni semplicistiche. Sgargianti colori, disegno a mano di qualità unito a tecniche di animazione digitale, immagini en plein air straordinarie, ma il racconto dove è?
L’iniziativa del Cineteatro Volta rimane, comunque, un momento interessante poiché permette alle famiglie (cui specificatamente l’iniziativa della rassegna si rivolge) di trascorrere del tempo insieme. Che poi il film possa dimostrarsi “debole” (non sgradevole), questo è un’altro discorso. Si ricorda infine che la rassegna cinematografica (per maggiori informazioni, qui il link) prevede ancora una proiezione nel mese di dicembre (domenica 23 dicembre 2018, Zanna Bianca di A. Espigares) e continuerà, con titoli ancora sconosciuti, a marzo del 2019.
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