
#PFF18 • La vita che volevi
La storia raccontata da Daniele Starnoni sulla musica dei Vincent tratta di una situazione archetipica, che attraversa tutte le epoche e che interessa anche la nostra: l’uomo, nel momento in cui si sente oppresso dalla società, fugge via e cerca rifugio nella natura. L’attacco è in medias res: un uomo si trova seduto in un’ auto ferma a bordo strada, accanto ad un bosco. È autunno inoltrato, gli alberi sono spogli, il suolo coperto di foglie marce e fango. Non sappiamo come sia arrivato lì, ne quali siano le sue intenzioni. Sicuramente non ha fretta: non scende. Lui resta immobile, ma la sua mente viaggia, qualcosa lo tormenta. La musica aumenta di intensità con un crescendo molto ben costruito. A un tratto l’uomo decide di uscire dall’abitacolo e avvicinarsi al bosco. A questo punto il linguaggio filmico entra in crisi: la narrazione lineare lascia posto ad una sorprendente miscela di jump-cut e montaggio alternato. Il regista impiega il jump-cut, che per sua natura è una figura retorica di discontinuità, come strumento per rendere la frammentazione dell’esperienza umana contemporanea. L’uomo vorrebbe fuggire da una vita opprimente che non lo soddisfa, ma è insicuro, attende, e la sua indecisione si manifesta con questi salti in avanti non del tutto logici.
Il protagonista è impersonato da tre diversi attori, che fra l’altro sono i tre musicisti del gruppo. L’uomo ha tre volti eppure i suoi abiti, la sua auto e persino i suoi movimenti sono gli stessi. Con questa scelta il regista vuole forse comunicare l’universalità del messaggio: l’insofferenza per la propria condizione di vita non riguarda un solo uomo, ma può interessare tutti noi.
La società impone norme e regole, obbligandoci anche ad un determinato modo di vestire. Il colletto bianco è nell’immaginario collettivo immediatamente sinonimo di potere, omologazione ed oppressione, perciò liberarsi da quei vestiti comporta una liberazione dai vincoli della società. Ed è qui che troviamo l’aspetto più interessante del video: l’uomo che si ritrova nel bosco, solo, senza gli abiti eleganti che caratterizzavano la sua vita precedente, si guarda intorno ed ha paura. La fuga dalla società non lo rimette in contatto con le forze ancestrali della natura, non lo trasforma in un buon selvaggio, al contrario, gli provoca spaesamento e terrore.
Il suo ritorno all’auto è una situazione enigmatica e volutamente non risolta. All’interno dell’abitacolo trova un nuovo completo, abiti puliti che simboleggiano un possibile confortante ritorno alla società. L’uomo deve scegliere. L’esito non è raccontato. Il dubbio torna ad attanagliarlo: forse l’uomo tenterà di nuovo la via del bosco, o forse ci troviamo di fronte alla sua sconfitta e al dramma dell’uomo moderno, al quale è definitivamente negata la possibilità di recuperare una dimensione panica.
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[…] te traduire / How can I tell you – Lembe Lokk; Daniele Starnoni ed Emanuela Novelli di La vita che volevi– Vincent; Jonathan Stroh (USA) di Never Fall – Night Cadet; Joe Hoster (Svizzera) […]