
Un miracolo di nome Wes: “L’Isola dei cani”
Se c’è un autore contemporaneo che si può definire coerente in modo quasi integralista, questo è Wes Anderson. Il quarantanovenne texano sforna pellicole a ritmi regolari da ventidue anni, da quel lontano 1996, anno di uscita del suo film d’esordio Un colpo da dilettanti (Bottle rocket, 1996). Da allora si porta dietro un’estetica paragonabile a un marchio di fabbrica, la cui riconoscibilità, cosa sempre più rara nel mondo della Settima Arte, è immediata e lampante. Tutti abbiamo sentito parlare delle ossessioni di questo regista per le simmetrie, i colori pastello, le scritte in sovrimpressione, ossessioni chiamate in causa tanto dai suoi estimatori quanto dai suoi detrattori. Ebbene, ciò che emerge sempre di più dalla visione dei suoi film, compreso l’ultimo L’Isola dei cani (Isle of dogs, 2018) è una capacità non comune, quasi miracolosa di reinventarsi, insomma, l’opposto della presunta staticità e ripetitività che gli viene spesso imputata.
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L’articolo è stato pubblicato il 2 maggio 2018 sul sito http://inchiostro.unipv.it/
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